Russia: tra i criminali
Analisi di Ben Cohen
(traduzione di Yehudit Weisz)
Vladimir Putin
Nella lunga lista dei luoghi più infernali della terra, le colonie penali russe sono quasi in cima. In un'intervista dell'anno scorso rilasciata all’Associated Press, Olga Romanova, responsabile di una ONG per i diritti dei prigionieri, aveva sottolineato che il presidente russo Vladimir Putin era “soddisfatto” delle condizioni terribili in cui versavano questi campi di prigionia perché lui “vuole avere nelle sue mani uno strumento che incuta terrore. Devi avere un posto dove le persone hanno paura di finire.”
Tra gli oltre 500.000 prigionieri rinchiusi nel sistema russo dei gulag ci sono Alexei Navalny, il leader dell'opposizione perseguitato dal regime di Putin, e la star americana della WNBA (il campionato professionistico femminile statunitense di Basket) Brittney Griner, incarcerata con una condanna a nove anni e mezzo per un'assurda accusa di possesso di marijuana. Ma il gulag ospita anche criminali violenti e pericolosi che ora, grazie alla guerra della Russia in Ucraina, hanno maggiori probabilità di ottenere la libertà nelle prossime settimane rispetto a Navalny o Griner.
La settimana scorsa è comparso un video di Yevgeniy Prigozhin, il capo della famigerata banda di criminali mercenari nota come Gruppo Wagner (in onore del compositore preferito di Hitler), che reclutava prigionieri per lo sforzo bellico russo in una squallida colonia penale nel centro del Paese. "Se servi la Patria sei mesi, tu sei libero”, ha detto Prigozhin ai prigionieri. Poi proseguì avvertendoli che la vita non sarebbe stata tutta rose e fiori: i prigionieri che avessero tentato di disertare sarebbero stati giustiziati, li informò, e chiunque venisse catturato dagli ucraini si sarebbe dovuto suicidare facendo esplodere una granata. Sottolineando che stava cercando volontari forti e robusti, ha aggiunto esplicitamente che “questa è una guerra dura, nemmeno l’ombra di quelle come la Cecenia e le altre.” Una guerra dura è un modo per caratterizzare la questione; un disastro per il regime di Putin è un altro. Negli ultimi giorni, le forze armate ucraine hanno ottenuto incredibili avanzate sui campi di battaglia stando ai frequenti rapporti di soldati russi infangati, affamati e confusi in fuga dal fronte. Se la Russia vuole passare alla controffensiva, ha bisogno di truppe talmente disperate da combattere in modo brutale, come quei tre prigionieri reclutati dal gruppo Wagner, che lo scorso giugno sono stati uccisi mentre, brandendo coltelli, assaltavano le trincee ucraine vicino alla centrale elettrica di Vuhlehirska, nell'Est del Paese. Sorprendentemente, un simile senso di disperazione sta crescendo nelle relazioni estere della Russia. Proprio come a livello nazionale si è rivolta a elementi criminali per affiancarla nella brutale invasione del suo vicino meridionale, così Mosca guarda ai regimi canaglia del mondo nel momento in cui cerca di rafforzare la sua posizione internazionale. La scorsa settimana Putin si trovava nell'antica città uzbeka di Samarcanda per un vertice dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO). Per quanto grandioso possa sembrare, lo SCO è un piccolo club di Stati con precedenti sui diritti umani che vanno dal sospetto al terrificante. Oltre alla Russia, la SCO comprende Cina, India, Pakistan e le ex repubbliche sovietiche di Uzbekistan, Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan.
A partire da giovedì scorso, la SCO aveva un nuovo membro, uno con un record di violazioni dei diritti umani deprecabile come quello dei suoi padroni russi e cinesi. Anche lui presente a Samarcanda per l'incontro della SCO, il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha ricevuto la gradita notizia che la Repubblica islamica è stata ammessa come membro a pieno titolo. “La collaborazione tra Paesi sanzionati dagli Stati Uniti, come Iran, Russia o altri ancora, può risolvere molti problemi e questioni e renderli più forti”, ha rimarcato, durante il suo incontro con Putin, riassumendo senza volerlo in modo piuttosto elegante lo scopo della SCO.
Vale la pena dire che abbiamo già visto questa configurazione del panorama internazionale. Durante la Guerra Fredda, l'Unione Sovietica esercitò un'influenza formidabile nel mondo in via di sviluppo, giocando ad esempio un ruolo chiave nel fare pressione sui Paesi africani e asiatici affinché tagliassero i ponti con Israele dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967 (a quel tempo, per inciso, l'Iran era ancora uno Stato allineato all'Occidente.)
In questo momento, addestrato e formato nel KGB dell'era sovietica, Putin sta perseguendo una politica simile di allineamento con Stati che sono già anti-occidentali (e contro Israele) o che per diventarlo non avranno nessun’altra scelta da fare, se non partecipare a un'alleanza guidata dalla Russia. Durante l'estate, il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha intrapreso un lungo tour dell'Africa, godendosi un raro caloroso benvenuto in Uganda, Etiopia e Congo-Brazzaville, tra le altre destinazioni. Lo scopo principale di Lavrov era trasmettere il messaggio che sono le sanzioni occidentali, e non il blocco russo degli sbocchi ucraini al mare, ad essere responsabili di una crisi alimentare che è destinata a peggiorare molto nei prossimi mesi. Naturalmente, con un altro riferimento alle pratiche dell'era sovietica, Lavrov non ha promesso aiuti per alleviare il dolore di questi Paesi, fornendo solo una pioggia di propaganda rabbiosa. La Russia sarebbe lieta di vedere una replica delle divisioni dei tempi della Guerra Fredda con gli Stati Uniti, l'Unione Europea e altri Stati ricchi da un lato, e l'URSS, i suoi Stati satellite e le vaste aree del mondo in via di sviluppo dall'altro. È questo risultato che deve essere evitato. La coalizione che si è formata contro l'aggressione russa in Ucraina, non può essere vista come un club per i Paesi ricchi, uno degli svantaggi dell'opposizione ai sovietici verificatisi dopo la Seconda guerra mondiale. I russi sanno chi sono i loro alleati naturali, e anche noi: i cinesi, che gestiscono il proprio sistema di gulag; i nordcoreani, che fanno lo stesso; insieme agli iraniani e a una manciata di altri regimi macchiati di sangue. Eppure questa alleanza è costruita sulla paranoia piuttosto che sull’affermazione e dal desiderio di escludere l'America e l'Occidente, invece di mostrare le loro società come un modello da imitare per altri Paesi. Il suo fallimento sarà la nostra vittoria.
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate