Un altro modo di vedere il conflitto 16/09/2022
Analisi di Michelle Mazel
Autore: Zvi Mazel/Michelle Mazel
Un altro modo di vedere il conflitto
Analisi di Michelle Mazel

(traduzione di Yehudit Weisz)

https://israel247.org/2022/09/une-autre-facon-de-voir-le-conflit/

Taylor Force Act: Congress's First Step in Beating Palestinian Terror |  National Review

Purtroppo, sembra evidente che nessuna soluzione al cosiddetto problema palestinese potrà essere trovata fino a quando i palestinesi non si mostreranno disposti ad accettare l'esistenza di Israele in quanto Stato ebraico. Spesso ignorato, l'aspetto religioso dello scontro viene tuttavia regolarmente messo in evidenza: è al grido di Allah Akhbar che all'interno di Israele vengono perpetrati gli attacchi contro dei civili innocenti – uomini, donne e bambini; è anche per “proteggere la moschea di Al Aksa” e non lasciare che gli ebrei “profanino con loro i piedi sudici la Santa Spianata delle Moschee,” per riprendere l'elegante espressione del Presidente Mahmoud Abbas, che i musulmani dei territori sotto il suo controllo sono chiamati a salire a Gerusalemme per manifestare. Secondo l’insegnamento impartito in questi territori, non vi è alcun legame tra l'ebraismo e gli ebrei da un lato, e Gerusalemme dall'altro. Tutto questo mentre il Corano, ripetendo ampiamente la narrazione biblica, si è appropriato di re e profeti, presentati come precursori dell'Islam. Ciò non impedisce a questo libro sacro di glorificare la lotta del Profeta contro le tribù ebraiche e il massacro di Khaybar, spesso evocato durante le manifestazioni.                     

A Gaza come a Ramallah, raramente si parla degli israeliani: i termini usati sono piuttosto “i sionisti”, “gli ebrei” o addirittura “l'Occupazione”. Un modo per negare ogni legittimità all'avversario. Così un'intera gioventù viene cresciuta nell'odio e nella totale ignoranza della realtà e della storia del popolo ebraico e di Israele. E allora come si può parlare di pace o di compromesso? E non dimentichiamo il supporto costante di movimenti come il BDS, che invoca apertamente la distruzione di Israele scandendo “dal fiume al mare, la Palestina sarà libera.”                                             

In Israele, i partiti di centro e di sinistra sostengono da tempo il dialogo e la necessità di porre fine al conflitto. Ma oggi essi hanno perso slancio. Il loro pubblico non ci crede più. Il terrorismo è una costante nella loro esistenza. Un terrorismo che non ha atteso la Guerra dei Sei Giorni per manifestarsi. Dal 1949 al 1967, quando, ricordiamolo, la Striscia di Gaza era sotto il controllo egiziano, e la Giudea e la Samaria erano annesse alla Giordania, dei terroristi vennero proprio  da questi territori per commettere attacchi sanguinosi all'interno di Israele. Poi, più tardi ci sono stati gli attentati suicidi, gli autobus carichi di scolari e civili che esplodevano. Ci furono delle donne che parteciparono a questa opera di morte. Così come quella terrorista che pranza tranquillamente al ristorante Maxim di Haifa, prima di innescare la sua carica esplosiva, uccidendo ventuno clienti e ferendone dozzine di altri.                                  

Oggi il terrorismo è più spesso messo in atto da individui dall’aspetto ordinario, uomini e donne di ogni età e addirittura da adolescenti e ragazzine, che agiscono da soli e che scelgono bersagli casuali per la strada. Non c'è bisogno di armi sofisticate, basta un grosso coltello, un cacciavite, delle forbici e addirittura un'ascia. Da qui una totale perdita di fiducia e un forte scetticismo da parte degli israeliani. Aspettiamo invano che i Paesi occidentali prendano coscienza di questa realtà che il loro silenzio aiuta a perpetuare.

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Michelle Mazel