Come amare una figlia Hila Blum
Traduzione di Alessandra Shomroni
Einaudi Stile Libero euro 17,00“Sapevo che l’amore materno poteva essere selvaggio e sfrenato, ma non capivo l’amore quotidiano”
La storia di una maternità, fra troppo amore e bisogno di controllo, quella di Yoela e della figlia Leah, è al centro del secondo romanzo di Hila Blum, “Come amare una figlia”, in corso di traduzione in venti paesi e vincitore del Premio Sapir 2021, il prestigioso premio letterario israeliano che annovera fra i vincitori autori del calibro di David Grossman, Gail Hareven e Etgar Keret.
Hila Blum che ha lavorato molti anni come editor presso la casa editrice Kinneret Zmora-Bitan, già autrice del bestseller internazionale “The visit”, non ancora tradotto in italiano, affronta il cammino impervio della relazione fra una madre, protagonista e voce narrante della storia, e una figlia, Leah, che all’età di diciannove anni scompare senza lasciare tracce di sé. La frattura di un legame quasi simbiotico è irreparabile al punto da portare Leah in un altro paese, l’Olanda, e a escludere totalmente la madre dalla sua vita.
“…poiché osservavo mia figlia e la sua famiglia a loro insaputa, ero io in realtà a correre un rischio. La loro vita senza veli splendeva pericolosamente sotto i miei occhi”. A parte qualche rara e fredda telefonata e una breve visita alla morte del padre, Leah non ha mai dato notizie di sé e solo casualmente Yoela apprende che la figlia abita a Groningen con la famiglia ed è madre di due bimbe che non ha mai conosciuto. Con questa immagine di forte impatto emotivo si apre la narrazione di una storia intima, lo scavo psicologico che la voce narrante opera sul rapporto madre e figlia per analizzare cosa ha portato a un allontanamento apparentemente inspiegabile e anche per ricercare colpe ed errori che possano aiutare a capire.
Oscillando fra passato e presente, sullo sfondo di una depressione che ha funestato l’attesa di Leah, prendono forma come piccoli quadri episodi significativi dell’infanzia e dell’adolescenza della figlia: le nuove amicizie, il bisogno naturale di indipendenza di Leah che si scontra con i silenzi di una madre che pur cercando di comprendere non può fare a meno di controllare e a volte manipolare.
Da questo legame assoluto che si alimenta di aspettative reciproche, un’unione luminosa e disastrosa al contempo, spicca l’assenza del padre Meir, un uomo dall’indole mite, ma incapace di far sentire la sua voce in un rapporto che esclude tutto il resto del mondo.
In questo flusso di ricordi del passato, una sorta di diario raccontato dal punto di vista di Yoela, emergono gli errori compiuti per troppo amore da una madre in cerca di affetto nei confronti di una figlia che si sente soverchiata da un amore oppressivo; eppure dall’auto analisi che si dispiega nel racconto non emerge alcun accadimento particolare che possa aver determinato quella frattura insanabile.
Yoela ricostruisce in modo ossessivo ogni evento, capisce che qualcosa di essenziale è andato perduto forse nel momento in cui Leah è diventata adolescente e ha cercato l’indipendenza. Si sente schiacciata da un senso di sconfitta dinanzi all’enigma, parola che ricorre di frequente nel romanzo, che rappresenta sua figlia.
Due donne che restano imbrigliate nei loro sentimenti, incapaci di accorciare la distanza che le separa perché protagoniste di un amore assoluto che ha impedito loro di essere libere.
Hila Blum costruisce un tessuto narrativo pervaso da una delicata sensibilità rivelando una profonda conoscenza dell’anima femminile, una rara capacità di parlare della sofferenza e di indagare con rispetto, senza mai giudicare, le contraddizioni dell’essere umano.
Per ogni genitore questo romanzo è un invito potente a chiedersi: “Come amare una figlia”? Non ci può essere una sola risposta perché ogni storia di maternità non è soltanto un enigma ma un’esperienza totalizzante, una vicenda da cui trarre insegnamento che si ripropone e si rinnova giorno dopo giorno. Come Hila Blum ci ricorda in queste pagine folgoranti.
Giorgia Greco