Una sconcertante analisi sociopolitica
Tahar Ben Jelloun analizza il mondo arabo con considerazioni sconcertanti e gravi lacune
Testata: La Repubblica
Data: 10/02/2003
Pagina: 17
Autore: Tahar Ben Jelloun
Titolo: Quella maledizione sul mondo arabo
L'articolo di Ben Jelloun non lesina critiche ai governi arabi e non nasconde sotto artefatte ricostruzioni parastoriche le responsabilità del disastro di cui gli stessi regimi arabi sono gli unici colpevoli. Ma se anche per l' autore, e non solo per un titolista disattento, si trattasse di una "maledizione", a quel punto ci dovremmo chiedere come si possa conciliare un concetto religioso-jettatorio e comunque trascendente ed astratto con una analisi sociopolitica di segno opposto.
Ciò detto, alcune delle considerazioni di Ben Jelloun sono malgrado tutto sconcertanti, tanto quanto una lacuna non insignificante nella sua analisi.
"Il mondo arabo ha subito delle disfatte" nel corso del Novecento, scrive, e prosegue indicando fra le cause la "sottovalutazione dell' importanza del fattore religioso". Forse, ci permettiamo di osservare, sarebbe stato più corretto scrivere che il mondo arabo è stato sconfitto ripetutamente dalle proprie faide interne, dalla pessima abitudine di ricorrere alla congiura di palazzo con uccisioni di re e primi ministri da parte dei loro più fidati collaboratori, dalle alleanze sbagliate (Hitler nella seconda guerra mondiale), dal rifiuto a priori di un dialogo con le potenze occidentali dell' epoca (Francia e Gran Bretagna) ma anche con la Società delle Nazioni e l' ONU, dando modo a chi ne aveva interesse di spadroneggiare, spartire, sottomettere.
E, fra le cause di queste sconfitte politiche, militari ma prima di tutto sul fronte della civiltà, l' autore non menziona una delle più rilevanti, il saccheggio delle ricchezze nazionali da parte delle oligarchie al potere che hanno lasciato nell' ignoranza e nella miseria le grandi masse a loro assoggettate.
Più avanti, Ben Jelloun si lamenta del fatto che gli arabi non siano capaci "di parlare con una sola voce": nostalgia di dittatura? La democrazia è fatta di molte voci, di molte opinioni, e della libertà di dare loro espressione.
Infine, eccoci come al solito al punto dolente: il conflitto fra israeliani e palestinesi, scrive maldestramente Ben Jelloun - maldestramente, perché il conflitto è fra israeliani e mondo arabo, ed è generato dal rifiuto arabo (ecco la famosa voce unica di cui lui sente la mancanza!) di accogliere nella enorme estensione del suo territorio uno staterello "diverso". E dunque l' accenno immediatamente successivo, collegato strettamente a quel concetto, di una simmetria fra l' antisemitismo arabo-palestinese (ma allora abbiamo ragione noi che ne denunciamo l' esistenza!) ed un presunto "razzismo antimusulmano ed antiarabo" degli israeliani.
Un "razzismo" che non esiste, se non si vogliono scambiare per razzismo una radicata e, ci sia consentito, ben motivata ostilità e diffidenza. Che scompariranno quando arabi e palestinesi accetteranno senza se e senza ma che Israele esista là dov'è ora, in pace ed in sicurezza.
In chiusura, Ben Jelloun ribadisce quanto ci sentiamo ripetere da ogni dove, che la guerra contro l' Iraq darà più vigore al terrorismo - ma, aggiunge, aumenterà anche "la disperazione di giovani pronti a morire uccidendo il maggior numero di innocenti": no, no, no! I palestinesi vengono educati fin dall' infanzia, avviati, istruiti, incoraggiati, ed infine premiati (da Saddam ed Arafat) quando assassinano gli innocenti.
Detto tutto ciò, rimane da capire quale inespresso dolore stia angustiando Scalfari, che su Repubblica del 9 febbraio sembra gridare allo scandalo per una supposta e da lui vituperata "pax israeliana". Israele per decenni ha offerto terra in cambio di pace, uno stato indipendente in cambio di pace, ed ha avuto come risposte guerre di annientamento, terrorismo suicida, e rifiuti ripetuti ad ogni occasione. In Israele la chiamano "la pace dei forti", non pax israeliana: ma cos' altro dovrebbe proporre uno stato che ha sempre vinto tutte le guerre e ciò malgrado si è sempre detto disposto a restituzioni territoriali in cambio di un riconoscimento del diritto ad esistere?

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