Cinema impegnato: contro Israele
Un gruppo di registi produce un film a senso unico. Israele scompare, rimane solo la Palestina. Complimenti !
Testata:
Data: 06/02/2003
Pagina: 4
Autore: un giornalista
Titolo: Sono senza ricevuta le lettere dalla Palestina
Riportiamo un articolo pubblicato su Il Riformista giovedì 6 febbraio 2003.
Si direbbe che l'unico israeliano buono sia l'israeliano pacifista dell'associazione Ta' Aush' (significa «Vivere insieme»). Quello che, nel mezzo del deserto del Neghev, liberando palloncini colorati e gridando «Occupazione no, pace sì» sotto lo sguardo nervoso delle guardie, porta pacchi-regalo ai 300 palestinesi detenuti in un campo di prigionia. Gli altri, i cattivi, sono visti da lontano: perlopiù soldati di stanza ai check-point, pronti a sparare al primo segno di ribellione, foss'anche la rabbia per una fila. Dalla finestra di una palazzina, a un certo punto, spunta però una bella ragazza ebrea dai capelli rossi. Sta sventolando un tappeto. Almeno lei sarà buona. Ma la cinepresa, indietreggiando, mostra un'anziana donna palestinese che chiacchiera col nipotino dall'altra parte della strada. Ricorda una colonna sbrecciata in giardino, una pianta di fico. Conserva ancora le chiavi di quella casa – era la sua – dalla quale tanti anni prima fu cacciata. Ecco, dunque, le radici dell'odio.
In attesa dell'anteprima italiana (il 17 febbraio, forse all'Auditorium di Roma), Lettere dalla Palestina debutterà il 10 al festival di Berlino, sezione «Forum». Di nuovo sotto il coordinamento di Francesco Maselli, dieci dei cineasti che parteciparono ai film collettivi sul G8, Porto Alegre e la manifestazione del 23 marzo (sono in arrivo anche Il cielo sopra Bagdad e Firenze pace e guerra) volarono ai primi di giugno nelle martoriate «terre del dramma per raccontare la straordinaria vitalità culturale e intellettuale – e materiale, fisica – di quel popolo oppresso». Punto di vista chiaro, esplicito, piuttosto militante. Per la serie, «stiamo con gli oppressi contro gli oppressori». Insomma con i palestinesi contro gli israeliani. A onor del vero, Ettore Scola, uno dei registi coinvolti nel progetto (gli altri sono Franco Angeli, Giuliana Berlinguer, Maurizio Carrassi, Giuliana Gambi, Wilma Labate, Roberto Giannarelli, Francesco Martinotti, Mario Monicelli, Fulvio Wetzl), confessò ragionevolmente in un'intervista a l'Unità: «Se tutti noi sappiamo che la pace in Medio Oriente è lontana, andare lì ti fa capire che è ancora più lontana». Ma, vedendo il film, si direbbe che l'auspicabile riflessione si sia fermata lì.
Con andamento lirico-poetizzante, a tratti sicuramente toccante, Lettere dalla Palestina cuce insieme nell'arco di 60 minuti una serie di storie raccolte sul campo. E' «il piccolo quotidiano» rivendicato dagli autori, l'altra faccia della guerra. E così, quasi chiamati a recitare nel ruolo di se stessi, i testimoni documentano con sguardi e parole la propria condizione di «oppressi». Ecco il bambino che voleva fare il pugile e s'è ritrovato senza un braccio; o l'uomo disperato che, avendo perso tutta la famiglia, vende sottocosto gli oggetti della vita precedente (uno stereo, un divano, delle sedie); o il piccolo lanciatore di sassi che non teme i soldati ma solo le loro armi; o la giornalista di Al Jazeera che si fa bella prima del collegamento; o una bambina col ghiacciolo in attesa del suo spasimante in erba; o l'operaio che s'alza alle cinque di mattina per trovare lavoro e viene regolarmente bloccato al check-point; o l'attrice che celebra in teatro, dove si dà Stories Under Occupation, le virtù dell'ironia come antidoto alla disperazione del suo popolo; o la fiera nonna della giovane Wafa, che fu la prima kamikaze donna a farsi esplodere in Jaffa Street. A un certo punto si vede anche il quartiere generale di Arafat semidistrutto da un cannoneggiamento, «ma appena mezz'ora dopo le strade erano già tutto un brulicare di umanità, di bancarelle, di colori» (Scola).
Come si notava, «l'emozione dei piccoli gesti quotidiani» rispecchia soltanto il devastato universo palestinese. Si dirà: Lettere dalla Palestina non è un servizio di telegiornale, non deve sforzarsi di essere oggettivo o imparziale, nasce da un punto di vista politicamente preciso, vicino alle posizioni di Rifondazione comunista. Nondimeno si vorrebbe che Maselli e i suoi bravi colleghi, magari in un prossimo film della serie Cinema nel presente, restituissero anche «l'altra sofferenza». Insieme allo strazio palestinese esiste anche la paura umanissima della madre ebrea che, avendo due figli, alla mattina sceglie di mandarli a scuola su autobus diversi. Non merita anche lei una «lettera»?
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