Falchi e colombe
La maggioranza degli israeliani esprime posizioni da colomba sul processo di pace ma nello stesso tempo esprime intenzioni di voto "da falco"
Testata:
Data: 23/01/2003
Pagina: 3
Autore: Marco Paganoni
Titolo: Votano da falchi e pensano da colombe
Riportiamo un articolo di Marco Paganoni pubblicato su il Riformista giovedì 23 gennaio 2003.
All’indomani del duplice attentato suicida del 5 gennaio (23 civili uccisi, un centinaia fra feriti e mutilati in un quartiere popolare di Tel Aviv) è stato chiesto al leader di Hamas Ahmed Yassin se i palestinesi non temano di influenzare negativamente le elezioni in Israele con questo genere di azioni. Al che l’ineffabile Yassin ha risposto: "La nostra lotta armata non si fermerà né prima, né durante, né dopo le elezioni". Commentava sconfortato un editoriale israeliano: "Cercare una logica razionale nel fanatismo terrorista islamico porta solo a conclusioni sbagliate, alcune anche pericolose". E aggiungeva: "Le colombe della sinistra israeliana credono che esista una ricetta politica che convincerebbe i terroristi della jihad a cessare gli attentati. Ma non esiste nessuna ricetta del genere. I falchi della destra credono che esista una ricetta militare che eliminerebbe il terrorismo. Purtroppo non esiste nemmeno questa ricetta" (Yediot Ahronot, 7.1.03).
Stretta in questa tenaglia, la maggioranza degli israeliani esprime posizioni che talvolta sembrano schizofreniche. Da almeno due anni tutti i sondaggi d’opinione confermano questo paradosso: la maggioranza degli israeliani esprime posizioni "da colomba" sul processo di pace (sì a un massiccio ritiro dai territori magari anche unilaterale, sì allo sgombero del grosso degli insediamenti, sì a un futuro stato palestinese), ma nello stesso tempo esprime intenzioni di voto "da falco". Come mai gli israeliani sono colombe sulla prospettiva lunga, ma falchi su quella breve?
Una spiegazione, ha scritto Ari Shavit su Ha’aretz (12.12.02), la si può rintracciare compilando la cruda contabilità dei caduti israeliani per terrorismo dal 1986 a oggi. Tra quell’anno e il 1991, in un periodo di stallo quasi totale del processo diplomatico, si registrò una media di 29 caduti all’anno. Tra il 1992 e il 1996, gli anni entusiasmanti del processo di pace di Oslo, la media dei caduti ogni anno salì a 86. Dal 1997 ai primi mesi del 2000, il periodo di Netanyahu caratterizzato da parecchia attività diplomatica ma pochi progressi sul terreno, i morti all’anno ridiscesero mediamente a 40. Poi, dopo il ritiro unilaterale dal Libano meridionale e le offerte senza precedenti fatte a Camp David e Taba, la media è balzata, come si sa, a quasi 300 morti all’anno.
"L’andamento appare chiaro – nota Shavit – I ritiri e le concessioni da parte di Israele non riducono la strage. Al contrario, a ogni ritiro le aggressioni palestinesi (e le reazioni israeliane) aumentano. Durante il governo Shamir morirono molti meno israeliani (e palestinesi) che durante i successivi governi Rabin e Peres. Durante la frenata negoziale di Netanyahu morirono meno israeliani (e palestinesi) che al tempo delle ampie concessioni di Barak. Di fatto, nella realtà del Medio Oriente, cedere territorio non porta tranquillità né pace. Anzi, costa caro in vite umane".
Gli israeliani sanno bene che prima o poi dovranno ritirarsi. Lo impongono ragioni etiche, dati demografici, vincoli internazionali. Ma nello stesso tempo non si fanno illusioni: il ritiro non significherà meno attentati, né meno spese per la sicurezza. Non porterà più calma, bensì maggiori violenze e maggiori rischi di guerra. Anche se non ricorda a memoria le statistiche esatte dei caduti, l’israeliano della strada fa un ragionamento logico e chiaro: la politica della destra non regge a lungo termine, ma le proposte della sinistra sono pericolose nel breve periodo. "Gli israeliani sanno – conclude Shavit – che la sfida più difficile nei prossimi anni non sarà se, bensì come lasciare i territori, limitando al massimo i rischi. Come ritirarsi, riuscendo a sopravvivere".
Dunque il paradosso dei falchi/colombe non è frutto di schizofrenia. Quando ai sondaggi rispondono di volere "un leader di destra che faccia una politica di sinistra", gli israeliani dicono semplicemente che le concessioni, indispensabili ma pericolose, devono essere fatte con prudenza, con giudizio e da posizioni di forza. Pena il rischio di mettere a repentaglio la propria esistenza.
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