Tre incipit per tre messaggi diversi
Dal fanatismo religioso al cinismo più abbietto: così in queste prime righe è ritratta l’Israele che si prepara alle prossime elezioni.
Testata:
Data: 17/01/2003
Pagina: 11
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Israele verso le elezioni
Nella sezione "Israele verso le elezioni" Umberto De Giovannangeli firma sull’Unità tre articoli che solo in apparenza sono obiettivi.

Venerdì 17 gennaio l’articolo a pagina 11 è intitolato, "Gerusalemme pronta a scegliere Sharon", sabato 18 gennaio a pagina 11 "Tel Aviv disincantata in bilico tra sinistra e Sharon" e domenica 19 gennaio a pagina 14 "I bambini senza speranza del campo fantasma di Khan Yunis.



Nella lettura di un articolo spesso i lettori si soffermano sui primi paragrafi e solo successivamente, se l’articolo è di loro gradimento, proseguono.

L’incipit di un articolo è pertanto fondamentale per catturare l’attenzione del lettore e per mandargli un primo chiaro messaggio che ancor più dell’ articolo intero è in grado di "orientare" il lettore.



Riportiamo pertanto l’inizio di tutti e tre gli articoli.

Gerusalemme pronta a scegliere Sharon.

Città santa. Città contesa. Città dove ogni pietra racchiude in sé una storia secolare segnata da conflitti sanguinosi combattuti in suo nome. Città che esalta come nessun’altra una bramosia di possesso totale, che alimenta sogni di grandezza trasformativi in immani tragedie. Yerushalaim, Al-Quds, Gerusalemme, l’ombelico del mondo secondo i maestri del Talmud. Per essa si sono innalzati nei secoli impenetrabili Muri dell’odio e della diffidenza. Per Gerusalemme si è pregato, sognato, giustificato anche gli atti più estremi, i sacrifici più duri.



Tel Aviv disincantata in bilico tra sinistra e Sharon.

Nel salotto buono della città, quella umanità sofferente non deve mostrarsi. Nel salotto buono di Tel Aviv non deve esserci spazio per gli homeless, i senza tetto, gli emarginati, Nathan, Dan, Yoram… I senza lavoro né futuro hanno occupato per sei mesi, dormendo in misere tende, la Piazza dello Stato, una delle più eleganti nel centro di Tel Aviv. Una presenza ingombrante, che certo deturpa l’immagine patinata della Collina della primavera.

L’altro ieri la polizia è intervenuta con la forza per sgombrare il salotto da quell’imbarazzante presenza.



I bambini senza speranza del campo fantasma di Khan Yunis.

Quei grandi occhi neri ti scrutano l’anima, ti interrogano, ti chiedono il perché di un inferno fatto di macerie, case perforate dai proiettili, carcasse sventrate di automobili. Ti chiedono, quegli occhi, del perché tanti bambini sono costretti a giocare tra montagne di rifiuti, in strade sterrate, attraversate da rigagnoli di liquame impastati con la sabbia, tra odori nauseabondi. Gli occhi del piccolo Mahmud raccontano meglio di mille discorsi, ciò che oggi significa vivere in un campo profughi della Striscia di Gaza, uno dei più bersagliati dalle rappresaglie israeliane all’indomani di un attacco ad un insediamento o ad un attentato suicida: il campo di Khan Yunis, roccaforte di Hamas e della Jihad islamica nel Sud della Striscia. Mahmud vive assieme alla madre, Zaira, e ad otto fratelli in una baracca di poche decine di metri quadrati, nel cuore del campo profughi. Il padre di Mahmud era un attivista di Hamas. E’ stato ucciso quattro mesi fa in un conflitto a fuoco con soldati di un’unità speciale di Tsahal.
Da una città "contesa", Gerusalemme, una città nella quale sono stati innalzati muri di odio, una città segnata da conflitti si passa a Tel Aviv "disincantata", indifferente all’umanità che soffre e pronta ad eliminare i poveri e gli emarginati dalla Piazza di Tel Aviv, in quanto presenza ingombrante e scomoda.

Dal fanatismo religioso al cinismo più abbietto così in queste prime righe è ritratta l’Israele che si prepara alle prossime elezioni.

L’ultimo articolo invece è una cronaca toccante e strappalacrime della vita durissima che vivono i bambini nel campo profughi di Khan Yunis.

Una miseria e una sofferenza che va ricercata nella corruzione della leadership palestinese che non si è mai curata delle condizioni del suo popolo.

E quando quegli occhi "ti chiedono il perché di un inferno fatto di macerie" bisognerebbe avere il coraggio di spiegare che gli israeliani non sono quei mostri che la stampa e la propaganda filopalestinese descrive, ma sono esseri umani che lottano per la sopravvivenza, ogni giorno messa in pericolo da quegli "attivisti" di Hamas come il padre del piccolo Mahmud.

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