Riflessioni su una giornalista di Al Jazeera 29/05/2022
Analisi di Michelle Mazel
Autore: Zvi Mazel/Michelle Mazel
Riflessioni su una giornalista di Al Jazeera
Analisi di Michelle Mazel
(traduzione di Yehudit Weisz)
Shireen Abu Akleh
La propaganda araba, purtroppo rilanciata da troppi mezzi d’informazione occidentali, presenta la giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, colpita da una pallottola durante uno scontro a fuoco a Jenin, tra soldati israeliani e terroristi armati, come la vittima di un omicidio deliberato e amplifica la sua campagna per demonizzare lo Stato ebraico. Eppure l'Autorità Palestinese si rifiuta tuttora di effettuare un esame balistico indipendente che determinerebbe definitivamente la provenienza del colpo. A margine di questa vicenda, è interessante sottolineare che la giornalista apparteneva alla grande famiglia dei Cristiani d'Oriente, un tempo fiorente e oggi decimata dagli stermini di Daesh e di altre correnti di estremismo islamico. “La scomparsa dei Cristiani d'Oriente è una catastrofe della civiltà” titolava Le Monde nel marzo 2021.
Secondo il quotidiano, “Al suo arrivo nel VII° secolo , l'Islam aveva adottato lo status di dhimmi, questa cittadinanza di second’ordine riservata agli ebrei ed ai cristiani. Sotto i califfati arabi come sotto l'impero ottomano, era preferibile far pagare loro la doppia tassa piuttosto che convertirli con la forza. … Nel 2006, Al-Qaeda in Iraq, il gruppo che avrebbe poi fondato Daesh, aveva lanciato la fatwa ‘Uccidere un cristiano è un dovere.’ Ma, se la catastrofe è ben visibile in Siria e in Iraq, i cristiani sono minacciati ovunque. In Egitto essi vengono discriminati. E così anche nei territori di Hamas: a Gaza non ci sono quasi più cristiani.” Oggi in quella che fu la culla del cristianesimo non ci sarebbero più di dieci o dodici milioni di cristiani. Anche questa cifra è fuorviante, poiché include i copti d'Egitto, che sono almeno otto milioni. Sebbene siano spesso presi di mira da fanatici musulmani, loro godono della protezione del regime.
Nata a Gerusalemme nel 1971, dopo la Guerra dei Sei Giorni e la riunificazione della città, Shireen Abu Akleh apparteneva a una comunità poco conosciuta, la Chiesa Greco-Melchita, formata da cristiani bizantini che si unirono alla Chiesa Cattolica nel 1724. È anche nel cimitero cattolico situato sul monte Sion che è stata sepolta la giornalista. La Chiesa Cattolica Greco-Melchita conta ancora circa 700.000 fedeli, principalmente nel Levante, cioè in Paesi relativamente risparmiati dalle devastazioni dello Stato islamico. Ricevono aiuti da un numero simile di correligionari espatriati, in particolare negli Stati Uniti. Si trovano principalmente in Libano, poco più della metà, in Siria se ne contano 170.000, in Giordania 30.000 e in Israele e nei territori palestinesi 54.000. Molti ignoravano che Shireen Abu Akleh, che aveva fatto propria la causa palestinese, fosse cristiana e l’hanno scoperto con sorpresa. Poche ore dopo la sua morte, sui social network arabi è stato registrato uno strano fenomeno: la comparsa di commenti e di video di musulmani che vietavano ai loro fratelli musulmani di implorare per lei la misericordia divina, come è tradizione in Medio Oriente. Dato che Shireen era un infedele, tale invocazione sarebbe stata vietata. Insomma, questi buoni musulmani son felici di strumentalizzare la sua morte, ma non fino al punto di trasgredire le prescrizioni del Corano relative ai Cristiani.