Quel Muro della disperazione
La barriera difensiva che Israele è stato costretto a costruire per difendersi dai feroci attacchi kamikaze rappresenta per il giornalista una autentica sciagura per il popolo palestinese
Testata:
Data: 15/01/2003
Pagina: 9
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Oltre il muro della disperazione villaggi fantasma e negozi vuoti
L’orientamento filopalestinese, le affermazioni faziose e antisraeliane sono da sempre una costante nella quasi totalità degli articoli pubblicati sull' Unità.

L’attenzione per il mondo palestinese, generalmente dipinto come "vittima" del conflitto in corso è sempre altissima e una vena di "simpatia" nei confronti di chi soffre a causa della "cattiveria" dell’esercito israeliano traspare di frequente nei pezzi pubblicati sull’Unità.

Questo articolo però supera di gran lunga tutti gli altri.

La barriera difensiva che Israele è stato costretto a costruire per difendersi dai feroci attacchi kamikaze rappresenta per il giornalista una autentica sciagura per il popolo palestinese, "oppresso", "disperato" che si trova di fronte un esercito insensibile alle sue molteplici sofferenze.

Mentre è appena accennata la vera motivazione che sta alla base della costruzione del muro, l’articolo si concentra sulla descrizione minuziosa e "molto partecipata" delle difficoltà che un invalido e un’anziana si trovano ad affrontare per passare dall’altra parte del muro.

Prima del "muro" era molto facile invece per i kamikaze entrare in Israele e fare a pezzi decine e decine di civili israeliani fra i quali - occorre ricordare al giornalista - chi rimaneva in vita era a sua volta un povero invalido.

Riportiamo ampi stralci dell’articolo che si commenta da sé.

Il ragazzo invalido fa fatica a superare il muro. Si arrampica, annaspa, lancia un grido di dolore. E poi si lascia cadere nelle braccia degli infermieri della Mezzaluna rossa palestinese. Il tutto sotto lo sguardo distratto di un giovane soldato israeliano in assetto di guerra. Scene di vita quotidiana ad Abu Dis, primo sobborgo arabo all’uscita di Gerusalemme, in direzione della Cisgiordania. Walid è il nome del ragazzo infermo ci racconta in lacrime la sua storia: Due anni fa una pallottola di gomma sparata da un soldato israeliano durante una manifestazione a Ramallah mi ha colpito alla gamba. Da allora faccio fatica a muovermi. Devo essere trasportato in carrozzella
E allora come fa ad arrampicarsi sul muro?


e per avere le cure necessarie oggi devo superare questo maledetto muro per raggiungere l’ospedale. Mi creda è un inferno.

Un inferno di cemento e di filo spinato che si snoda per decine di chilometri. Per gli israeliani è una barriera di difesa dagli attacchi dei kamikaze; per i palestinesi è il Muro della sofferenza e dell’umiliazione. Dietro questo muro – ci dice Mahmud, venditore ambulante di spezie – un popolo sta morendo.
Dall’altra parte del Muro un altro popolo (quello israeliano) è fatto a pezzi.
…Un viaggio lungo il muro che divide la Cisgiordania dallo Stato ebraico è innanzitutto un viaggio angosciante nella sofferenza dei senza speranza.
I "senza speranza" sono tali grazie alla loro leadership corrotta che si è arricchita con i soldi della comunità europea lasciando il "loro" popolo nella miseria più nera.
A un muro già innalzato si accompagnano tratti di un muro in via di edificazione. E laddove non vi sono barriere di cemento e di filo spinato, ci pensano i check point istituiti dall’esercito israeliano a spezzare in mille frammenti territoriali le città e i villaggi della Cisgiordania.
Mentre in Israele ci pensano i kamikaze a "spezzare in mille pezzi" i civili inermi
Percorrendo il tratto di strada che collega Abu Dis al check point di Ramallah assistiamo a scene che toccano il cuore; un’anziana donna che cerca, non riuscendoci, di scavalcare il muro. Cade e si rialza più volte spargendo sul terreno i sacchetti con la frutta e la verdura. Accanto a lei, un bambino di quattro-cinque anni piange e prova di sorreggere l’anziana palestinese.

I segni della guerra li ritrovi nelle macerie delle case rase al suolo dai bulldozer israeliani,
Sono le case dei terroristi e delle loro famiglie responsabili delle stragi in Israele
nelle carcasse delle auto sventrate dai carri armati di Tsahal. I segni della guerra li vedi negli sguardi smarriti, impauriti dei bambini che affollano i check point chiedendo l’elemosina o vendendo acqua e tè alla menta.
I segni della guerra li vedi anche negli sguardi "terrorizzati" di chi sale sull’autobus e si trova a fianco un giovane, che potrebbe essere un terrorista, con una giacca un po’ troppo abbondante o con una borsa sospetta.
I segni del degrado li respiri dalle montagne di rifiuti che affiancano la barriera israeliana. La rabbia si mischia al dolore, l’umiliazione alla dignità della povera gente, ostaggio di Israele ma anche di un terrorismo disumano, che ai check point fronteggia i soldati dai quali dipende la loro esistenza quotidiana.
La povera gente non è ostaggio di Israele ma dei terroristi che ai check point, se per caso riescono a passare, non "fronteggiano" i soldati israeliani ma li fanno semplicemente a pezzi.

Il governo israeliano costruendo il Muro non ha voluto infliggere nuove sofferenze ai palestinesi, bensì proteggere i suoi cittadini e tutelarne la loro incolumità.

Ogni Stato democratico ne ha non solo il diritto ma anche il dovere.

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