'Fiordicotone', di Paolo Casadio 20/04/2022
Recensione di Giorgia Greco
Autore: Giorgia Greco
Fiordicotone
Paolo Casadio
Manni euro 17,00

“Non dobbiamo avere paura di avere coraggio”

Fiordicotone : Casadio, Paolo: Amazon.it: Libri
La copertina

Si apre con un gesto di inconsapevole eroismo l’ultimo romanzo di Paolo Casadio, “Fiordicotone” edito dalla casa editrice Manni. A Lugo di Romagna nel dicembre del 1943 un contadino assiste all’arresto di una famiglia di ebrei: Omero Da Fano, Alma Vita, Velia e Zaira Luscri, l’ennesimo sopruso perpetrato nei confronti di persone innocenti. L’uomo dalle scarpe grossolane con l’inconsueta attaccatura a vu dei capelli ondulati non esita un momento: apre veloce la capparella di tessuto nero e fa scomparire al suo interno la piccola Velia come il più abile e consumato degli illusionisti. Donadio, il maresciallo dei carabinieri, si accorge del gesto ma non interviene. Un agire che fa la differenza fra la vita e la morte. “Aveva avuto coraggio. Non se lo disse, se lo domandò, e non si diede la risposta. Era troppo presto, e non sapeva quel che sarebbe accaduto. Nessuno poteva prevederlo”. Nemmeno Alma poteva prevedere che dal carcere della Rocca sarebbe stata deportata ad Auschwitz dove avrebbe salutato per l’ultima volta il marito, un mite rilegatore di libri antichi, e la madre mentre lei, dal fisico perfetto e dalla folta chioma di capelli ramati, avrebbe trascorso due lunghi anni nel Sonderbauten, il bordello creato nei lager dal capo delle SS Heinrich Himmler, dove le giovani ebree più attraenti del campo di concentramento venivano tenute in vita per soddisfare gli istinti dei nazisti.

Nato a Ravenna nel 1955, studioso della lingua e della storia del suo territorio, autore de “La quarta estate” (Piemme 2015) ambientato a Marina di Ravenna nel 1943 e de “Il bambino del treno (Piemme 2018) che racconta una vicenda degli anni ’30 e ’40 in una sperduta stazione dell’Appennino, Casadio in questo suo ultimo romanzo focalizza l’attenzione su ciò che accade “dopo” il campo di sterminio, ossia sul ritorno a casa in una città distrutta dalla guerra di una giovane madre ebrea sopravvissuta quasi per miracolo agli orrori di Auschwitz. La speranza e la fiducia di ritrovare la sua piccola Velia, detta Fiordicotone, l’ha tenuta in vita e le ha permesso di sopportare nel bordello i soprusi e le violenze dei nazisti. Con una scrittura rarefatta l’autore sceglie di raccontare la Shoah da una prospettiva diversa: osserva, attraverso i ricordi di Alma che brulicano incessantemente nella sua mente straziata, i corpi che sembrano scheletri, l’odore di carne bruciata, le urla delle cavie sottoposte agli esperimenti scientifici, le violenze e la determinazione di spezzare la dignità umana dei nazisti che sfogano sulle giovani ebree i loro istinti più perversi. In questa narrazione, che non cela l’orrore, si avverte però un rispetto profondo per le vittime e così spiega Casadio in un’intervista: “Ho cercato di rendere la mia penna più leggera possibile, quasi fosse un acquerello. E questo proprio perché si parla di tragedie e dolori indicibili. Il rispetto che ho per chi ha subito così tanto mi fa capire che forse non ho il diritto, né la reale possibilità di immedesimarmi, ma sento il dovere di ricordare e tributare la loro memoria, in un mondo che sembra considerare queste cose sempre più come optional”.

Il romanzo è un lungo e doloroso viaggio di ritorno dall’inferno di Auschwitz, dopo che l’esercito russo ha liberato il campo il 27 gennaio 1945, per riportare Alma, umiliata, ferita, piena di vergogna, ma ancora in vita grazie al ricordo della figlioletta, in una Lugo distrutta dai bombardamenti dove i segni della guerra sono ancora visibili nei palazzi diroccati, nelle macerie agli angoli delle strade: una devastazione che rispecchia quella incisa nell’anima delle poche persone che ancora si ricordano di Alma. Negli oltre mille chilometri del viaggio di ritorno, Alma attraversa la Polonia, la Svizzera insieme ad alcune compagne di prigionia che dinanzi alle guardie di confine svizzere incaricate di scortarle temono di ripiombare ancora nell’inferno dei lager. In questo lungo percorso in cui l’umanità di Alma sembra privata di qualsiasi vitalità, in una continua ricerca che la riporti fra i vivi, osserviamo personaggi generosi come il colonnello Antonio Bolzani, ispirato a una figura realmente esistita, che trovandosi in prima linea dopo l’8 settembre 1943 nell’accogliere i profughi alla frontiera svizzera aveva scelto di ubbidire alla propria indole. Non è un viaggio facile quello della giovane madre: prima sui treni, sui camion, sopra carrettini improvvisati insieme ad altri sfollati passando da Milano, Piacenza, attraverso una Reggio in macerie, poi a Bologna dove Alma guarda con sgomento alcuni palazzi sopravvissuti ai bombardamenti che sembrano sezionati da un colpo di accetta e mostrano stanze ancora intatte con i quadri alle pareti ma senza gli abitanti… Nel lungo peregrinare, uscendo da un’altalena cosciente tra illusione e realtà, Alma è consapevole di “ritornare a una casa deserta, colma di ricordi dolorosi che sarebbero diventati rimpianti…C’era stato un tempo felice, nonostante i problemi quotidiani, e di quel tempo s’era saziata, ignara della sua brevità. Di quella vita piccola non aveva intuito la fragile unicità e le restava un infinito, incolmabile vuoto”. Con l’aiuto provvidenziale di una suora, dopo mille peripezie e un agguato nei pressi di Imola Alma arriva finalmente a Lugo, un paese incapace di nascondere gli effetti della guerra: macerie sotto i portici, palazzi crivellati di schegge con l’aria abbandonata, soldati dalla pelle scura che escono dal palazzo della Pretura, segni di un conflitto che lei non vorrebbe vedere perché quel paesino, testimone di una felicità familiare ormai lontana, vuole ricordarlo intatto.

Avvicinandosi al ghetto dove ha abitato con il suo adorato Omero e la figlia Velia, Alma vede la sinagoga distrutta e la casa dove ha vissuto con la famiglia è ora occupata da altri che, nonostante la sua disperazione, la scacciano forti di un diritto di proprietà acquisito grazie alle inique leggi fasciste. Tutte le famiglie ebree del ghetto sembrano scomparse, Alma non sa a chi rivolgersi, dove rifugiarsi ma di una cosa è sicura: vuole ritrovare la piccola Fiordicotone. Nella seconda parte del libro l’autore ci porta a conoscere personaggi indimenticabili nella loro semplice generosità che contribuiranno a realizzare la missione che si è data Alma e che l’ha tenuta in vita nel campo di sterminio: il romagnolo don Briscola, ispirato ad un altro “parroco di valle” che le apre le porte della canonica senza chiedere nulla, il buon Gabulini che accompagna Alma con la sua Topolino alla ricerca di un fotografo che potrebbe dare una svolta al ritrovamento della bimba, riscattando una vita trascorsa fra attività illecite e imbrogli con un gesto d’amore e di coraggio e tanti altri sopravvissuti alla guerra che intersecano in un modo o nell’altro il suo cammino. Inframmezzata alla storia di Alma l’autore svela con passo lieve anche la vita della piccola Fiordicotone che trascorre, in attesa di riabbracciare la mamma, nella casa del contadino che l’ha accolta, accudita insieme alla moglie con un amore ruvido ma generoso salvandole la vita. Romanzo di solido impianto storico “Fiordicotone”, sebbene ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, è una lettura ancora attuale, una testimonianza sulla devastazione che la guerra compie nella vita di uomini, donne, bambini, anziani che in questi giorni ci appare molto vicina mentre assistiamo ai bombardamenti missilistici in Ucraina, al massacro di civili inermi, alla distruzione di case, ospedali e constatiamo quanto gli uomini non abbiano imparato nulla dagli errori del passato.

Con empatia e una cifra linguistica semplice che si avvale, a seconda dei personaggi che descrive, di un pizzico di ironia e di un piacevole intercalare del dialetto romagnolo, Paolo Casadio ha il merito di aver riportato alla luce la realtà poco conosciuta dei lagerbordell “concepiti dal capo delle SS Heinrich Himmler come incentivo per aumentare la scarsa produttività dei prigionieri”. Frutto di ricerche storiche, della consultazione di giornali d’epoca, di un’attenta analisi della documentazione disponibile il romanzo di Casadio prende spunto dalla lettura di una tesi di laurea su “Jews displaced persons in Italia tra il 1945 e il 1948” che Enza Maugeri direttrice del MEB di Bologna aveva segnalato all’autore. A questo si aggiunge la fortuita scoperta del diario di Antonio Bolzani, comandante territoriale ticinese negli anni Quaranta intitolato “Oltre la rete” e del saggio “Le donne sono umane?” di Catharine A. MacKinnon. Da tutto questo ha preso avvio una trama avvincente che scuote le coscienze in cui Casadio intreccia un’accurata ricostruzione storica alla creazione di personaggi di fantasia destinati a rimanere nel cuore dei lettori. Un libro che emoziona e tiene viva la memoria collettiva sulla Seconda Guerra Mondiale, sul destino delle persone che subiscono la violenza della guerra, la sopraffazione di eserciti invasori e che avrebbero il diritto di vivere senza quell’annientamento dell’anima e della propria esistenza quotidiana che ogni guerra comporta.


Giorgia Greco