Le elezioni presidenziali francesi in Israele 13/04/2022
Analisi di Michelle Mazel
Autore: Zvi Mazel/Michelle Mazel
Le elezioni presidenziali francesi in Israele
Analisi di Michelle Mazel
Non è il voto dei francesi in Israele – di quelli con doppia nazionalità e di altri – che cambierà l’equilibrio delle forze presenti nella lotta per la Presidenza della Repubblica francese. Pesa pochissimo contro i quasi cinquanta milioni di elettori della Francia metropolitana. Tuttavia, merita attenzione, perché riflette il profondo malessere di un elettorato che si sente orfano. Basta guardare il numero delle astensioni: in Israele il 90% degli aventi diritto al voto ha preferito non esercitare questo diritto. Solo uno su dieci è andato alle urne. Certo, ci sono cause strutturali. L'identità dell'inquilino dell'Eliseo non interessa una parte di coloro che hanno acquisito la nazionalità francese per discendenza più o meno lontana, e che non sentono alcun legame con la patria dei loro antenati. Ma questo non spiega la portata del fenomeno quest'anno. Il motivo va forse ricercato nello sconcerto di tutti coloro che non comprendono la politica della Francia nei confronti di Israele. Le cose sono molto cambiate da quando il famoso “Israele, nostro amico, nostro alleato”, fu pronunciato dal Generale de Gaulle sessant'anni fa. Oggi Israele è il più delle volte messo sotto accusa. La critica è legittima; a volte è giustificata. Quello che non lo è, è il tono e ancora meno quel che somiglia ad un partito preso deliberato. Difendendo la causa palestinese al punto da non condannarne le violenze e rifiutandosi di approvare gli Accordi di Abraham con la motivazione che arrecherebbe pregiudizio, il Quai d'Orsay ha scelto da che parte stare, arrivando al punto di fare eco a scandalose accuse di apartheid. Da qui lo sconcerto dei francesi in Israele alla vigilia del primo turno delle elezioni presidenziali. Poiché i sondaggi in Francia hanno mostrato la rappresentazione concorde di un duello tra Emmanuel Macron e la leader del Partito Raduno Nazionale, Marine Le Pen, loro hanno dovuto fare una scelta dolorosa. Rinnovare il Presidente uscente, quando non vi è alcuna indicazione che lui cambierà la sua politica, portare i loro voti all'erede di Jean-Marie Le Pen o semplicemente restarsene a casa. La metà di coloro che hanno deciso di votare ha scelto una soluzione originale: mettere nell'urna la scheda Zemmour. Sapevano, tuttavia, che l'establishment ebraico in Francia aveva esortato a non farlo; che questo candidato era stato accusato se non di tutti i peccati di Israele, almeno di aver assunto posizioni equivoche che alcuni qualificavano come antisemite. Certo, gli è stato riconosciuto di aver messo sul tavolo la questione dell'immigrazione, ma questo riconoscimento a parole non era sinonimo di accettazione. Come si spiega allora il sostegno espresso da questo voto? Semplicemente come un voto di sfiducia e niente di più. Al secondo turno, quando si tratterà di scegliere chi rappresenterà la Francia per i prossimi cinque anni, si può tranquillamente affermare che sarà Macron il vincitore del ballottaggio.