L'America deve rimanere un leader nella lotta contro l'antisemitismo 27/03/2022
Analisi di Ben Cohen
Autore: Ben Cohen
L'America deve rimanere un leader nella lotta contro l'antisemitismo
Analisi di Ben Cohen

(traduzione di Yehudit Weisz)

https://www.jns.org/opinion/america-has-to-remain-a-leader-in-the-fight-against-anti-semitism/

Meet Hannah Rosenthal, CEO of Milwaukee Jewish Federation and Local 'Mensch  on a Mission'
Hannah Rosenthal

In una famosa intervista rilasciata nell'ottobre del 2012 all'Agenzia Telegrafica Ebraica, Hannah Rosenthal, nel suo ultimo giorno come Inviato Speciale del Dipartimento di Stato Americano per il Monitoraggio e la lotta contro l'Antisemitismo, aveva concluso dicendo che “ce ne sarà sempre bisogno” facendo riferimento all'incarico che aveva ricoperto per tre anni. Eppure l’assegnazione di quel posto non si è rivelata facile. Dopo che la vice di Rosenthal, Ira Forman, aveva lasciato l'incarico nel gennaio del 2017, l'amministrazione del Presidente in carica Donald Trump ha impiegato fino all'inizio del 2019 prima di annunciare la nomina a quel ruolo di Elan Carr, un veterano militare statunitense. Nel frattempo, il Primo Segretario di Stato di Trump, Rex Tillerson, aveva persino prospettato l’eventualità di abolire l'incarico ma l’opposizione dei leader ebrei e di altri gli fecero cambiare idea. Intanto, da quando il Presidente Joe Biden è entrato in carica nel gennaio del 2021, il posto è rimasto vacante.

Lotta all'antisemitismo, Biden sceglie Deborah Lipstadt - Moked
Deborah Lipstadt

Sebbene lo scorso luglio, Biden abbia nominato a quel ruolo Deborah Lipstadt, la famosa storica della Shoah e docente dell’Università di Emory (Atalanta, Georgia), le obiezioni repubblicane a quelli che loro considerano degli evidenti pregiudizi politici da parte della Lipstadt, le hanno impedito di essere confermata. Tornerò a tempo debito sulla controversia su Lipstadt, ma prima è necessario rivedere brevemente perché esiste la carica di inviato speciale e come i vari titolari della carica hanno inteso il loro mandato. Quando nel 2006, l'amministrazione di George W. Bush aveva creato quella carica, l'antisemitismo globale stava raggiungendo nuovi picchi storici. Solo pochi mesi prima della nomina dell'inviato speciale Gregg Rickman, la violenza antisemita che affliggeva le comunità ebraiche europee aveva preso una piega agghiacciante culminata con il rapimento, la tortura e l'omicidio di Ilan Halimi, un giovane ebreo francese preso in ostaggio da una banda di delinquenti di Parigi che lo hanno rapito per la convinzione errata che, poiché tutti gli ebrei sono ricchi, la famiglia di Halimi sarebbe stata disposta a pagare un ingente riscatto per assicurarsi la sua libertà. Dopo aver sopportato per tre settimane botte bestiali e bruciature di sigaretta, mentre lui era incatenato a un termosifone, Halimi è stato poi scaricato dalla banda sul ciglio della strada e lasciato morire. Morì poco dopo essere stato trovato, e il suo caso divenne un doloroso simbolo della nuova realtà europea per gli ebrei. “Più di sei decenni dopo la Shoah l’antisemitismo non è solo un fatto storico, purtroppo”, aveva dichiarato l'allora Segretario di Stato Condoleezza Rice alla cerimonia del maggio del 2006 in cui Rickman prestò giuramento. “È un evento di attualità.” Sedici anni dopo, l'antisemitismo rimane sia una notizia di attualità che di portata globale, manifestandosi in una vertiginosa serie di situazioni e di drammi, originati sia da destra che da sinistra. Poiché l'antisemitismo è un fenomeno dalla testa di Idra, non sorprende che ogni inviato speciale abbia portato nel suo ruolo le proprie preoccupazioni particolari, riflettendo anche le priorità politiche dell'amministrazione che lui serviva. Rickman, nominato da Bush, è stato schietto sull'antisemitismo dell’islam e del regime iraniano; Rosenthal e Forman (e l'inviato ad interim Michael Kozak), nominati dal Presidente Barack Obama, hanno sottolineato la lotta contro l'antisemitismo come parte di un più ampio programma di tolleranza; mentre Carr, nominato da Trump, ha evidenziato la minaccia rappresentata dal movimento BDS di sottoporre lo Stato di Israele a un boicottaggio globale.

I loro contributi nella posizione di inviato speciale non sono riducibili a queste specifiche problematiche, è ovvio, ma vanno notati i sottili cambiamenti di enfasi che si sono succeduti con ogni inviato. Con tutto questo ben chiaro in mente , sorge la domanda su quali attenzioni particolari Lipstadt si concentrerebbe, ammesso che sia approvata. Questo mese sono già state rinviate due votazioni sulla sua conferma alla commissione per le relazioni estere, la prima a causa delle obiezioni nei confronti della Lipstadt da parte del senatore Ron Johnson (R-Wis.), che lei ha accusato di avere “simpatie per i nazionalisti bianchi” in un tweet che in seguito ha cancellato e di cui poi si è scusata, la seconda perché il senatore Bob Menendez (DNJ) ha ritenuto che fosse necessario un altro rinvio a causa della scarsa partecipazione in seno alla commissione riunitasi il 23 marzo. Supponendo che sia confermata, Lipstadt dovrà dimostrare immediatamente di essere al di sopra dei mormorii di parte che hanno tormentato la procedura della sua nomina. Lei stessa ama dire, correttamente, che l'antisemitismo è una caratteristica sia della sinistra che della destra; quell'osservazione dovrebbe essere centrale se dovesse trasformarsi in un diplomatico americano. In effetti, vale la pena sottolineare che, poiché l’incarico dell'inviato è quello di un diplomatico, il titolare non ha alcun mandato per affrontare l'antisemitismo interno; il suo obiettivo è rivolto nei confronti dell’odio contro gli ebrei al di fuori dei nostri confini. Per quanto riguarda i Paesi e gli argomenti, Lipstadt avrà molto da fare. Nell’Europa occidentale, si dovrà occupare dei livelli crescenti di violenza antisemita nei confronti degli ebrei; dell'influenza antisionista nei parlamenti, nelle università e in altri luoghi chiave di condizionamento; e di un crescente interesse per le teorie del complotto mirate centro gli ebrei, come evidenziato durante la pandemia di COVID-19. Nell'Europa orientale, si occuperà degli abusi e delle distorsioni della Shoah da parte dei politici nazionalisti, nonché delle ricadute ideologiche della sedicente “de-nazificazione” dell'Ucraina operata dal Presidente russo Vladimir Putin. Più lontano, in Medio Oriente, c'è la continua dedizione del regime iraniano alla distruzione di Israele e il continuo sostegno del Qatar alle organizzazioni terroristiche che si aggrappano a ideologie antisemite, come Hamas. Nel continente africano, politici e influencer di spicco in Sud Africa, tra cui il nipote di Nelson Mandela, promuovono la diffamazione secondo cui Israele è una reincarnazione del governo dell'apartheid e che solo il potere finanziario e politico smisurato degli ebrei impedisce ai governi occidentali di sostenere i palestinesi. E quell'elenco è non è certo completo. Il continuo blocco della conferma di Lipstadt sta ostacolando un'efficace risposta degli Stati Uniti a queste sfide. Non c'è dubbio che sia assolutamente qualificata per il ruolo, sia per il suo lavoro di accademica che per il suo status di donna che, nel 2000, ha dato una sonora sconfitta al negazionista dell'Olocausto più famoso del mondo, David Irving, che aveva intentato contro di lei una causa per diffamazione presso l'Alta Corte di giustizia britannica. È vero, non tutti i suoi giudizi sono validi. Il suo libro del 2019, Antisemitism: Here and Now , ha tracciato un'assurda equivalenza tra Trump e Jeremy Corbyn, l'ex leader del Partito laburista britannico il cui mandato è giunto a una fine vergognosa tra una massa di prove inconfutabili dell'antisemitismo all'interno del partito che lui e altri irriducibili sostenitori della causa palestinese hanno scatenato. Si può disprezzare la retorica spesso bigotta di Trump nella sua terminologia, ma c'è poca attenzione analitica nel confrontare le sue esplosioni rozze e impulsive con la strategia di Corbyn di promuovere l'antisemitismo a sinistra, camuffato da sostegno ai diritti dei palestinesi. Niente di tutto ciò dovrebbe distrarre dall'urgenza della nomina dell'inviato speciale. Sicuramente, gli Stati Uniti hanno aperto la strada alla nomina di funzionari governativi per combattere in modo specifico l'antisemitismo, un approccio successivamente adottato in Germania, Regno Unito e altri Paesi. Su questo tema, come su tanti altri, l'America deve continuare a fare da leader, piuttosto che restare indietro.

Ben Cohen Writer - JNS.org
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate