I politici francesi mettono un freno alla provocazione antisionista 13/03/2022
Analisi di Ben Cohen
Autore: Ben Cohen
I politici francesi mettono un freno alla provocazione antisionista
Analisi di Ben Cohen

(traduzione di Yehudit Weisz)

https://www.jns.org/opinion/french-politicians-call-time-on-anti-zionist-provocation/

Francia,esplode la protesta femminista:
Gérald Darmanin

Gli attivisti della solidarietà con la Palestina hanno trovato un nuovo bersaglio nella persona di Gérald Darmanin, il Ministro degli Interni francese. La scorsa settimana Darmanin aveva annunciato lo scioglimento di due organizzazioni di solidarietà palestinese: il Comité Action Palestine (Comitato d'azione palestinese) e il Collectif Palestine Vaincra (Collettivo Palestina vincerà), sulla base del fatto che entrambi i gruppi promuovono l'odio, la violenza e la discriminazione. La sua decisione ha indignato la lobby filo-palestinese in Francia, che ha avvertito che quei gruppi antisionisti intransigenti trascurati dal Ministro degli Interni, come BDS France, Samidoun e Association France Palestine Solidarité, sarebbero stati i prossimi sulla linea di tiro. In una manifestazione nella città di Tolosa per protestare contro l'annuncio, i partecipanti hanno denunciato Darmanin per la sua posizione “autoritaria.” Dal punto di vista di questi attivisti, è facile capire perché Darmanin si sia guadagnato questa reputazione. Poichè nell'ultimo anno la Francia ha registrato più di 550 attacchi e oltraggi antisemiti, lui ha utilizzato la legislazione appena approvata per passare all'offensiva contro l'influenza islamista tra le diverse comunità musulmane francesi. Alla fine di dicembre, Darmanin ha annunciato la chiusura della moschea Bilal a Beauvais, un sobborgo di Parigi, “[a causa del suo] incitamento inaccettabile contro cristiani, omosessuali ed ebrei.”

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Altre venti moschee sono state chiuse ai sensi della stessa legislazione per ragioni simili. Poi, lo scorso maggio, Darmanin ha ordinato alla polizia di Parigi di vietare una marcia di solidarietà palestinese mentre infuriavano i combattimenti tra Israele e Hamas a Gaza. La manifestazione avrebbe dovuto svolgersi nel quartiere Barbès, a nord di Parigi, lo stesso quartiere in cui una manifestazione filo-palestinese durante la guerra del 2014 a Gaza era degenerata in una rivolta antisemita. “Nel 2014 sono stati osservati gravi disturbi all'ordine pubblico”, ha spiegato Darmanin quando gli è stato chiesto il motivo del divieto dello scorso maggio. Ha anche esortato le forze di polizia in tutta la Francia a rimanere "vigili" di fronte alle manifestazioni filo-palestinesi, rendendo chiaramente il suo punto di vista sul fatto che le organizzazioni e le persone che organizzano queste proteste vogliono incitare all'odio e alla violenza. Eppure l'approccio di Darmanin non si basa solo sul timore che le manifestazioni pro-palestinesi provochino disordini nell'ordine pubblico, un timore che sembra giustificato quando si ricorda l'ondata di violenza antisemita che ha accompagnato le proteste negli Stati Uniti, in Europa e in tutto il mondo nel maggio del 2021. Può anche essere visto come l'esempio più concreto di un cambiamento importante nel modo di pensare del governo francese. Negli ultimi due anni in vari discorsi e dichiarazioni, un certo numero di politici francesi, dal Presidente Emmanuel Macron in giù, hanno identificato come un problema politico, l'ideologia antisionista e il suo saldo aggancio con il pregiudizio antisemita. In parte, ciò si basa su considerazioni interne, poiché nella situazione francese, l'ostilità abietta verso Israele si fonde con le convinzioni antisemite sulla ricchezza ebraica al punto che l'una va di pari passo con l'altra. In questa fase, tuttavia, alcuni politici francesi hanno finalmente capito che le convinzioni più amate dagli antisionisti - che Israele è uno Stato di apartheid, che il sionismo è una forma di razzismo e colonialismo, che Israele non ha il diritto di esistere - alimentano l'odio antiebraico. In un discorso alla cena annuale, alla fine di febbraio, dell'organizzazione ombrello ebraica francese Crif , il Primo Ministro Jean Castex ha preso esplicitamente di mira questi stereotipi.

“Come si può parlare di apartheid in uno Stato in cui i cittadini arabi sono rappresentati nel governo, in parlamento, in posti chiave di leadership e in posizioni di responsabilità, dove tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro religione, hanno capito che la loro unica speranza è di stare insieme in pace”, ha dichiarato gettando fango sul recente rapporto di Amnesty International che descriveva Israele come la reincarnazione del regime razzista che ha governato il Sud Africa fino al 1994. Per i due gruppi sciolti da Darmanin, tuttavia, l'idea che Israele sia uno Stato di apartheid è assiomatica alle loro campagne. Allo stesso modo, l'antisionismo è portato come qualcosa di cui andare orgogliosi. “Siamo antisionisti e vogliamo la liberazione della Palestina”, ha affermato il Comitato d’Azione Palestinese in risposta all'annuncio di Darmanin. “La Palestina è una terra rubata ai palestinesi e deve essere restituita ai palestinesi. Dopo il 1948, i sionisti hanno voluto annettere più terra espellendo, imprigionando, massacrando i palestinesi.” C'è stato un tempo in cui queste affermazioni venivano prese sul serio dai politici francesi, ma ora è meno vero. In effetti, l'insofferenza per il dogma antisionista e il suo impatto socialmente divisivo, non è limitato solo ai funzionari francesi eletti. Lo scorso dicembre, Jack Lang, un ex Ministro dell'Istruzione che dirige il prestigioso Institut du Monde Arabe (IMA: Istituto del Mondo Arabo) a Parigi, si è scontrato con un gruppo di accademici antisionisti e personaggi pubblici furiosi per il fatto che l'Istituto stesse ospitando una mostra “Ebrei d'Oriente” inaugurata da Macron a novembre. Affermando che l'IMA “avrebbe tradito la sua missione intellettuale” “normalizzando” e “standardizzando” la cooperazione con Israele, il gruppo, che comprendeva il politico veterano dell'OLP Hanan Ashrawi e il Professor Joseph Massad della Columbia University, ha denunciato i tentativi di “presentare Israele e il suo regime di insediamento dei coloni e di apartheid come fosse una cosa normale.” Ma l'IMA non è caduto in questo classico senso di colpa antisionista, opponendosi piuttosto “alla virulenza nel tono del BDS di fronte a una mostra la cui qualità scientifica è stata riconosciuta.” Che nei circoli francesi, l'antisionismo venga privato della legittimità intellettuale e morale, è uno sviluppo molto gradito. Lungi dal ritratto roseo in cui si presenta come fosse impegnata in una campagna per i diritti umani, la lobby filo-palestinese è stata smascherata come praticante incitamento all'odio e promotrice di violenza, glorificando il terrorismo contro gli israeliani e giustificando gli oltraggi antisemiti che prendono di mira gli ebrei della diaspora in quanto derivanti da legittime rivendicazioni musulmane. Ci sono lezioni da trarre da parte degli Stati Uniti, dove, anche qui, l'ideologia antisionista si manifesta come una minaccia alla sicurezza della comunità ebraica? Date le disposizioni del Primo Emendamento, ci conviene sottolineare che, dato che tutti i discorsi sono protetti, dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per spiegare cosa costituisce incitamento all'odio. Il fatto che, tra tutti i posti, la comprensione dell'antisionismo come ideologia carica di odio sia emersa in Francia, Paese che l'anno scorso ha esentato l'assassino di Sarah Halimi, una donna ebrea, da un processo penale per una malattia mentale presumibilmente causata dalla sua abitudine alla cannabis, potrebbe indurre alcuni a concludere che questa è una sorta di espiazione per le prove affrontate dagli ebrei francesi negli ultimi 20 anni. Anche se così fosse, se convincesse nello stesso spirito i politici di altri Paesi a rivedere le loro opinioni sull'antisionismo, allora questo si dovrà considerare come un progresso significativo.

Ben Cohen Writer - JNS.org
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate