Una discreta dose di disinformazione
Saddam Hussein finanzia il terrorismo palestinese perché ha tutto l'interesse a mantenere ben vivo il conflitto israelo-palestinese
Testata: Corriere della Sera
Data: 06/01/2003
Pagina: 1
Autore: Franco Venturini
Titolo: Se tutto il mondo pensa solo all'Iraq
Superficialità, luoghi comuni e una discreta dose di disinformazione: questo il contenuto dell'editoriale di Franco Venturini.


Era stato Le Monde , giovedì scorso, a sorprendere i suoi lettori con un grande titolo in prima pagina: «Medio Oriente, la guerra che ha già fatto 2.807 morti». Il quotidiano transalpino si proponeva senza dubbio di lanciare due messaggi: uno contro l’assuefazione al massacro nell’opinione pubblica occidentale e l’altro, più sottile, sull’inopportunità di aprire un nuovo fronte contro l’Iraq mentre il sangue già scorreva a fiumi tra israeliani e palestinesi.
No, non è un messaggio sottile, ma solo un luogo comune frutto di superficialità e ignoranza: Saddam Hussein finanzia il terrorismo palestinese perché ha tutto l'interesse a mantenere ben vivo il conflitto israelo-palestinese, quindi, finché Saddam resta al suo posto, non esiste alcuna possibilità, neanche teorica, di una soluzione del conflitto. Ne consegue che, proprio alla luce di questo conflitto, l'apertura del nuovo fronte è tutt'altro che inopportuna.
La strage terroristica di Tel Aviv, la prima in una città israeliana dalla fine di novembre,
la formulazione è scorretta: questa è la prima strage terroristica riuscita; quelle tentate e sventate sono state molte
non si limita a nutrire il nostro orrore. Ci costringe anche a riflettere su quei due richiami, e non soltanto perché la contabilità delle vittime ha fatto un nuovo balzo verso l’insondabile fondo dell’abisso. Non è forse vero che da mesi la nostra attenzione è concentrata sui preparativi di guerra contro Saddam Hussein, che le vite perse tra gli israeliani come tra i palestinesi risultano banalizzate dall’attesa di una esplosione più grande e meno ripetitiva?
No, non è affatto vero. Forse lo è per Venturini, ma non certo per molte altre persone e per molti mass media.
Se la colpa riguardasse soltanto le nostre disattente coscienze, potremmo affrontarla in privato. Ma la colpa è invece pubblica e politica, come soltanto Giovanni Paolo II non si stanca di ripetere con le sue grida di dolore.
Esiste un organismo diplomatico chiamato «Quartetto» (gli Usa, l’Europa, la Russia e l’Onu) che sulla crisi mediorientale tiene riunioni sistematicamente inconcludenti.
E come potrebbe essere diversamente, se ogni tentativo di soluzione viene sistematicamente boicottato a suon di attentati terroristici?
Esiste un superpotere mondiale chiamato America che dopo i proclami di giugno (comprendenti la creazione a tempo debito di uno Stato palestinese) ha preferito riprendere le distanze dal mattatoio israeliano-palestinese. Esiste un’Europa troppo debole e troppo divisa per contare quanto vorrebbe. E ora, mentre armate super-tecnologiche si avvicinano all’Iraq, esistono anche due diverse campagne elettorali in Israele e tra i palestinesi.
Esiste una campagna elettorale fra i palestinesi? Venturini ne ha davvero avuto notizia?

La democrazia israeliana andrà alle urne il 28 gennaio prossimo. Il Likud del premier Ariel Sharon è favorito perché raccoglie consenso la sua durezza anti- palestinese,
anti-terroristica, non anti-palestinese!
ma uno scandalo politico-finanziario e le critiche interne del rivale Netaniahu rendono ora meno agevole la marcia di Sharon verso la conferma. La strage di Tel Aviv risulta allora puntuale e mirata come tante altre sciagurate imprese dei kamikaze palestinesi, punta a radicalizzare il conflitto, vuole affogare preventivamente nel sangue qualsiasi eventuale apertura, aiuta oggettivamente i settori più radicali e auspica l’ingovernabilità di Israele con lo strumento feroce dell’insicurezza permanente.
Come tutti coloro che conoscono la realtà mediorientale non hanno mancato di rilevare (su questo giornale Cremonesi e Olimpio), la strage è frutto di faide interne fra le varie fazioni palestinesi e ha ben poco a che fare con le elezioni israeliane. Forse non sarebbe male informarsi sulle cose di cui si vuole parlare.
Ma le campagne elettorali sono due, dicevamo. Yasser Arafat, chiuso da un anno nel suo semidistrutto quartier generale di Ramallah, ha perso anche quello scarso controllo degli avvenimenti che forse aveva.
Non è vero: Arafat continua a incitare al terrorismo, e la sua gente gli obbedisce.
I suoi colonnelli sono in rivolta come lo è il suo parlamento, i tentativi di trovare nuovi interlocutori moderati falliscono uno dopo l’altro,
un po' difficile trovare interlocutori moderati, dopo averli sistematicamente eliminati uno dopo l'altro
Hamas e la Jihad islamica si rafforzano sull’onda della spesso giustificata esasperazione popolare,
giustificata? Senza l'esplosione di terrorismo iniziata due anni fa, oggi avrebbero lo stato di Palestina con capitale Gerusalemme est e gli insediamenti smantellati
le elezioni che anche qui si sarebbero dovute tenere a gennaio sono state rinviate, la vagheggiata «nuova generazione» di dirigenti palestinesi deve cavalcare l’odio e la violenza se non vuole squalificarsi prima ancora di emergere. E, in più, la causa palestinese viene presa a bordo da Al Qaeda, tende a confondersi o a essere identificata con il terrorismo internazionale.
Memoria corta? Il terrorismo palestinese è nato come terrorismo internazionale!
Eccolo, il vero bandolo della tragedia che continua: gli estremismi delle due parti diventano oggettivamente alleati,
OGGETTIVAMENTE?
"si nutrono a vicenda, insieme spingono verso la catastrofe. Le colpe si equivalgono, dunque? Soprattutto oggi è impossibile affermarlo. Gli eccessi di una democrazia non saranno mai eguali ai crimini dei terroristi. Ma un segnale di estrema urgenza bisognerà pur coglierlo, magari ricordando a Bush junior che nel ’91 suo padre, subito dopo «Tempesta nel deserto», convocò la conferenza di Madrid per dare spazio al negoziato fra arabi e israeliani."

E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

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