Arafat l'infallibile ( secondo il Corriere)
Niente elezioni per Arafat ? la colpa è-ovviamente-di Israele
Testata: Corriere della Sera
Data: 23/12/2002
Pagina: 10
Autore: Elisabetta Rosaspina
Titolo: Arafat cancella le elezioni
Riproduciamo qui di seguito l'articolo uscito sul Corriere della Sera del 23.12.2002 dell'inviata in Israele Elisabetta Rosaspina. Se non conoscessimo come si comportano i nostri giornali ci chiederemmo in base a quale criterio vengono scelti i corrispondenti o gli inviati in Israele. Ci chiederemmo come è mai possibile che, tranne lodevoli eccezioni (poche, pochissime) quasi tutti i giornalisti arrivino ricolmi di pregiudizi contro lo stato ebraico e ricolmi di ottusa condiscendenza verso Arafat.
L'articolo di Rosaspina ne è un fulgido esempio.
Non si terranno le elezioni palestinesi il prossimo gennaio ? La colpa secondo Rosaspina è dell'occupazione israeliana, come se ciò spiegasse il no di Arafat alla consultazione. Non è che le viene in mente che magari Arafat teme il giudizio dei suoi, no,non le passa proprio per la testa. Gli israeliani, pur subendo attentati su attentati il 28 gennaio andranno a votare. Ma a Rosaspina viene da dire che "ai palestinesi resterà solo il ruolo di spettatori". Sempre Rosaspina si stupisce che il Jerusalem Post attribuisca a Al Fatah una "veste talebana", solo perchè il quotidiano di Gerusalemme ha scritto che "in un volantino distribuito a Hebron c'è scrito che verranno tagliate gambe e braccia a ladri e rapinatori". Non lo facevano i Talebani ? e allora perchè Rosaspina si stupisce ? Ma la perla più rilevante segue di una riga, dove la nostra avvocata d'ufficio palestinese scrive che "La minaccia di applicare la shaaria,la legge islamica, da parte di un gruppo decisamente laico suona piuttosto come una reazione esasperata alla recrudescenza della criminalità in una cittadina sotto coprifuoco e senza più polizia".
Lasciamo ai nostri lettori il triste compito di leggersi per intero l'articolo del Corriere. Dopodichè,indignati, ci auguriamo che inviino molte e-mail di protesta. Buona (pessima) lettura.

Rinviato a tempo indeterminato l’appuntamento del 20 gennaio nei Territori


Arafat cancella le elezioni

Motivo ufficiale: l’occupazione militare impedisce un voto regolare


DAL NOSTRO INVIATO
GERUSALEMME - Le elezioni palestinesi scompaiono dal calendario, senza che nessuno le rimpianga. E senza che nessuno, negli ultimi mesi, abbia pensato sul serio di preparare le urne. L'appuntamento per la scelta del presidente e il rinnovo del parlamento di Ramallah in carica da sette anni, era programmato per il 20 gennaio, otto giorni prima di quello israeliano, ma probabilmente nemmeno Arafat, che pure aveva scelto la data, ci ha mai creduto davvero. Del resto è ancora lui il presidente.
Almeno agli occhi dei palestinesi, per i quali il raìs è stato legittimato e riconfermato dal secondo assedio israeliano alla Mukata, il suo quartier generale, tre mesi fa. Perfino l'opposizione interna, che a fine maggio poteva far leva su un crescente desiderio popolare di cambiamento, ha capito in fretta che anche quest'occasione sarebbe andata perduta.
L'argomento ufficiale per il rinvio a tempo indeterminato è inconfutabile: come possono svolgersi regolari elezioni sotto occupazione militare? Come possono raggiungere le urne gli abitanti di Gaza, divisa in tre parti dall'esercito israeliano? E quelli della Cisgiordania? Come si fa ad andare a votare a Betlemme, a Tulkarem, a Nablus o negli altri villaggi tuttora sotto coprifuoco? Le spiegazioni ufficiose sono ancora più convincenti: che cosa potrebbe mai promettere, in queste condizioni, un candidato ai suoi elettori? Con quale credibilità? E chi è il concorrente in grado di battere, o almeno competere, con Arafat? Anche se quasi l'83 per cento degli elettori accusa l'Autorità di corruzione, secondo il sondaggio di un centro di Gerusalemme Est, e il 50 per cento dubita della serietà delle riforme del raìs, le elezioni si trasformerebbero adesso in un referendum sull'Intifada. Che lo vincerebbe di sicuro. E’ stata questa consapevolezza a indurre gli Stati Uniti e Israele a non insistere: la rielezione di Arafat si sarebbe trasformata in un boomerang, dopo i discorsi estivi di George W. Bush che prefigurava il futuro Medio Oriente senza più l'intralcio dello storico leader dell'Olp.
Per il portavoce del ministero degli Esteri israeliano, David Saranga, «Arafat accampa scuse per evitare uno scrutinio elettorale che indebolisca il suo regime; e, se l'esercito non si ritira dai territori, è per timore di una ripresa di attentati suicidi». Ma dall'Unione Europea arrivano parole di comprensione e solidarietà all'autorità palestinese: «Elezioni libere sono impossibili senza libertà di movimento e con i carri armati in mezzo alla strada», convengono Javier Solana e Chris Patten, i rappresentanti della politica estera europea. Per prendere in considerazione un'altra scadenza elettorale, l'Autorità palestinese chiede il ritiro immediato dei carri armati almeno dalla zona A, le aree autonome invase per ritorsione in autunno durante un'ondata di attacchi suicidi in Israele. «Quando il ritiro sarà completato - si augura il presidente del parlamento uscente, Abu Ala - ci vorranno almeno cento giorni per organizzare il voto».
Ai palestinesi non resta che il ruolo di spettatori delle prossime elezioni israeliane che vedono ancora largamente favoriti Ariel Sharon, attuale premier, e il suo partito, nonostante gli scandali e i sospetti di corruzione che hanno recentemente compromesso l'immagine del Likud e di alcuni dei suoi candidati.
Un'insolita veste «talebana» è stata invece attribuita ieri a Fatah, in un articolo del Jerusalem Post , che riferisce di un volantino distribuito a Hebron dagli attivisti locali: «Taglieremo gambe e braccia a ladri e rapinatori». La minaccia di applicare la sharia, la legge islamica, da parte di un gruppo decisamente laico suona piuttosto come una reazione esasperata alla recrudescenza della criminalità in una cittadina sotto coprifuoco e senza più polizia.
I militari israeliani non si occupano di furti o saccheggi, ma arrestano chi gira in divisa o armato, compresi gli agenti della sicurezza palestinese. L'ultima cruenta rapina a un grosso commerciante, Fadel Abdeen, membro della Camera di commercio di Hebron, è culminata in una sparatoria e nella sinistra minaccia di Fatah di pubbliche mutilazioni per fermare «la destabilizzazione della sicurezza interna palestinese». Ma alla loro applicazione non crede nessuno.
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