Un odio senza limiti
Un commento a: "L' ulivo e le pietre" di Marco Tramballi, Marco Tropea Editore
Testata:
Data: 23/12/2002
Pagina: 1
Autore: Barbara Mella
Titolo: Un odio senza limiti
Poiché siamo fanatici sostenitori dell'understatement. Poiché il politically correct è il nostro credo. Poiché aborriamo i toni sopra le righe. Per tutte queste ragioni tratteniamo il respiro, contiamo fino a dieci, concentrati nello spasmodico sforzo di controllare le nostre reazioni emotive e ci accontentiamo di dire, sommessamente: questo libro fa vomitare.
Ci tiene molto, il nostro Tramballi, a chiarire che lui non fa parte dei giornalisti schierati: né dei giornalisti con la keffiah, né di quelli con la kippà: lui è semplicemente un giornalista onesto. E per dare la misura della sua onestà ci racconta di quando era acceso filoisraeliano e della sua meravigliosa esperienza di vita in kibbutz. Poi un bel giorno del 1983 viene inviato a Beirut. Vede la Beirut distrutta dai palestinesi già PRIMA che vi arrivassero gli israeliani, incontra i palestinesi scampati al massacro operato dall'esercito giordano nel Settembre nero, e di colpo capisce tutto. Capisce che "Certo, i palestinesi sono vittime anche dei loro stessi errori, delle circostanze, dell'andamento a volte casuale della Storia. Ma restano soprattutto vittime degli israeliani". E immediatamente dà la stura a tutto il solito ciarpame grondante di odio antiisraeliano - e forse non solo antiisraeliano: gli israeliani fascisti e razzisti, da oppressi diventati oppressori, autori di una radicale pulizia etnica, che usano l'Olocausto come strumento, che hanno uno stato di apartheid, superficiali nei confronti della questione palestinese, responsabili di colpe collettive, affetti da mania di persecuzione. A Oslo il problema non è Arafat, bensì Rabin, essendo evidente che gli israeliani non vogliono impegnarsi, mentre i palestinesi sono pronti a giocarsi tutto. Ma quello che più colpisce è la totale assenza, in tutto il libro, di PERSONE israeliane: ci sono i soldati israeliani, i coloni israeliani, gli occupanti israeliani, ma le persone no. E il terrorismo è come la pioggia in un romanzo d'amore: c'è, ma non è che abbia molto a che fare con le vicende narrate; capita, inevitabilmente, di doverlo nominare, ma non ci sono vite distrutte, famiglie smembrate, madri disperate, giovani in sedia a rotelle, niente del genere: come una pioggia di primavera, anche il terrorismo passa e va, praticamente senza lasciare traccia. Le PERSONE palestinesi invece riempiono il libro: hanno sentimenti, soffrono, raccontano le loro vicende, amorosamente raccolte dalle simpatetiche orecchie di Tramballi. Ne troviamo molte, di storie e storielle raccontate in questo libro, per esempio questa: "Soldati che sparavano per divertimento ai serbatoi dell'acqua sui tetti delle case; che gridavano slogan offensivi mentre pattugliavano i campi o battevano alle porte per terrorizzare i bambini; che per futili ragioni confiscavano i documenti d'identità, sapendo che per i palestinesi era illegale non averli. C'erano i funzionari del fisco che si prendevano pause di ore, lasciando la gente in piedi ad aspettare sotto il sole; le guardie di frontiera che rovesciavano a calci le bancarelle cariche di verdura; le basi militari che gettavano la loro immondizia davanti alle case dei palestinesi". Questa storiella è riferita da Amira Haas, la giornalista condannata da un tribunale israeliano per aver pubblicato notizie clamorosamente e palesemente false, ma di questo a Tramballi poco importa. Così come riferisce le dichiarazioni dello "storico" palestinese Walid Khalidi, che gli racconta della lotta palestinese contro il nazismo - e Tramballi non fa una piega, e gli espone la sua personale battaglia per ristabilire la verità dei fatti, perché "Tante persone credono davvero in buona fede che nel 1948 Israele fosse vicino all'estinzione, che i palestinesi erano gli aggressori e gli ebrei favorevoli a un compromesso". Non cercate palestinesi cattivi, in questo libro: non ce ne sono. Al massimo disperati, ma cattivi mai. I cattivi stanno tutti dall'altra parte, così come dall'altra parte stanno tutti gli inganni, tutte le menzogne ("Bibi e le sue menzogne"), tutta l'aggressività, tutto il razzismo, tutte le colpe. Ci viene spiegato che tra lo sceicco Yassin, che in un'intervista gli dichiara apertamente di combattere per la distruzione di Israele e il "colono" Bob, che rivendica il suo sacrosanto diritto a difendersi dalla distruzione non ci sono differenze, tranne una: Yassin è la vittima, Bob è "il simbolo cosciente delle sofferenze palestinesi". Assistiamo a un continuo parallelismo, per non dire totale identificazione, fra israeliani e nazisti. Quanto agli ebrei, l'autore ci espone il suo pensiero citando Pat Buchanan: "La collina del Campidoglio è un territorio occupato: occupato dalla lobby ebraica"; e forse è per questo che l'America è "scandalosamente favorevole a Israele". E anche l'11 settembre dimostra l'incomparabile superiorità dei palestinesi sugli israeliani, in quanto "Arafat aveva capito, Sharon no". Ma il vero capolavoro di Tramballi è la ricostruzione della vicenda di Mohammed al Dura, il bambino ucciso all'incrocio di Netzarim: qui non solo supera se stesso, ma riesce addirittura a superare persino i palestinesi. Narra infatti il nostro che ad un certo punto i palestinesi avevano smesso di sparare, ma gli israeliani no. Gli israeliani hanno continuato a sparare, accanendosi PER BEN VENTI MINUTI contro quel bidone dietro il quale si nascondevano Mohammed e suo padre, riuscendo alla fine a centrarli: neanche Arafat era arrivato a questi vertici di invenzione fantastica! E così, di menzogna in menzogna, di falsificazione in falsificazione, arriviamo alla fine del libro: "Incapaci di una raffinata e realistica definizione della realtà, spinti da un irrefrenabile istinto al suicidio politico, una volta di più i palestinesi persero una grande occasione. Ma lo fecero con l'aiuto di Sharon, che non aveva smesso per un secondo di provocare i palestinesi, rendendo ancora più insopportabile l'occupazione: assassinando presunti terroristi e bambini, distruggendo case e umiliando la gente. L'evidente autolesionismo palestinese aveva da mezzo secolo lo stesso istigatore: Israele. Continuando una politica di repressione dai tratti razzisti, sabotando ogni negoziato, Sharon aveva deliberatamente agito perché la questione palestinese restasse una faida e non evolvesse mai in un caso politico risolvibile con i mezzi della politica. Salvo poche eccezioni, tutti i primi ministri d'Israele hanno affrontato il problema allo stesso modo: come medici che non curano ma aggravano deliberatamente lo stato di depressione del loro paziente". Ignoranza? Non si direbbe, a giudicare dai capitoli dedicati al Settembre nero e alla guerra civile in Libano, in cui Israele non era implicato - non direttamente, almeno, perché è fuori discussione che delle sofferenze palestinesi Israele è sempre e comunque responsabile. In quei due capitoli Tramballi appare straordinariamente ben informato, e non esita ad attribuire con grande lucidità colpe e responsabilità, e a scandalizzarsi per la mancata punizione di Eli Hobeika, il responsabile del massacro di Sabra e Chatila. E dunque non di ignoranza si tratta, bensì di consapevole e intenzionale mistificazione dettata da un odio senza limiti.

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