Arafat e la Basilica della Natività
Il "deplorevole" divieto di Israele a concedere l’ennesimo show ad Arafat
Testata:
Data: 10/12/2002
Pagina: 15
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Arafat a Betlemme, Israele pronta al veto
L’articolo è centrato sulla notizia del possibile divieto di Israele a concedere ad Arafat la possibilità di presenziare alla Messa di mezzanotte a Betlemme.

Commentiamo l’ultima parte dell’articolo dove troviamo espresse le opinioni del sindaco di Betlemme e del Papa sul "deplorevole" divieto di Israele a concedere l’ennesimo show ad Arafat.

Né il sindaco né il pontefice spendono la benché minima parola per ricordare le vittime innocenti di quelle stragi che Arafat con la sua condotta criminale ha consentito.

La notizia del probabile divieto non coglie di sorpresa il sindaco di Betlemme, Hanna Nasser, raggiunto telefonicamente dall’Unità nel suo ufficio nel cuore della Città Santa: "Betlemme è oggi una città ferita, umiliata. Una città sotto assedio".
Per colpa di chi? Degli israeliani, o piuttosto dei terroristi che vi si nascondono? Ricordiamo che una delle ultime stragi è stata perpetrata da un palestinese proveniente proprio da Betlemme.
I tank israeliani circondano la Basilica della natività
Per evitare che altri terroristi prendano l’esempio dai loro colleghi dell’anno scorso, trovandovi un "accogliente" rifugio.
E ostacolano in ogni modo i preparativi per il Santo Natale.

Vietare ad Arafat di partecipare alla Messa di mezzanotte – conclude Hanna Nasser – sindaco cristiano palestinese è una prova di forza deteriore da parte israeliana
della quale farebbero volentieri a meno se non ci fossero concrete motivazioni politiche oltre che di sicurezza.
Un segno di prepotenza che finirebbe per incendiare ancor più gli animi.
Gli israeliani sono sempre "prepotenti", i palestinesi miti agnellini i cui animi si possono "incendiare".
La vicenda di Betlemme e la stessa richiesta di Arafat di poter presenziare ai riti Natalizi, saranno oggetto di discussione nell’incontro di giovedì prossimo in Vaticano tra Giovanni Paolo II e il presidente israeliano Moshe Katsav, giunto oggi in Italia per una visita di tre giorni. Il Pontefice è da tempo preoccupato per la mancanza di pace nella terra che duemila anni fa diede i natali al Cristo. Anche l’altro ieri nella sua preghiera per la festa dell’Immacolata non ha mancato di sottolinearlo.

In questo contesto si inserisce l’angoscia del papa per l’accerchiamento dei carri armati israeliani della Basilica della Natività
Non sarebbe opportuno che l’"angoscia" del papa si estendesse anche ai bimbi, agli adolescenti, ai giovani, alle donne fatti a pezzi dalla ferocia di quei palestinesi (terroristi) che molti porporati nella loro immensa "carità cristiana" continuano a difendere perché "vittime" – secondo loro - della prepotenza dei soldati israeliani?
Una parola di speranza e, insieme un grido di allarme viene dal patriarca latino monsignor Michel Sabbah: Mi auguro con tutto il cuore che Israele riveda la sua posizione e faccia suo il messaggio di speranza di cui Cristo è portatore. La pace non può fondarsi sull’oppressione del forte sul più debole.
Prima di tutto occorre capire esattamente chi è "il forte" e chi "il debole".

Dopo di che vorremmo ricordare al monsignore che la pace - che tutti auspicano ma che solo gli israeliani perseguono veramente - non può fondarsi nemmeno sullo sterminio di civili innocenti.

La pace deve scaturire da una volontà condivisa e non sarà possibile conseguirla fino a quando un popolo – quello palestinese – odia l’altro fino al punto da volere il suo annientamento.

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