Il pentimento è un’esclusività occidentale 15/11/2021
Analisi di Michelle Mazel
Autore: Zvi Mazel/Michelle Mazel
Il pentimento è un’esclusività occidentale
Analisi di Michelle Mazel
(traduzione di Yehudit Weisz)
Il rastrellamento del Vel d'Hiv
Le società occidentali che riflettono sul proprio passato si trovano spesso di fronte a episodi che preferirebbero dimenticare. Tuttavia, in epoca moderna, ci troviamo di fronte a un fenomeno nuovo: queste società a volte prendono la decisione di fare atto di pentimento. E’ così che la Francia ha riconosciuto - tardivamente - la sua responsabilità per il rastrellamento del Vel d'Hiv nonostante l'opposizione dell'estrema destra e dell'estrema sinistra. Ora l’ha appena ammessa per la violenta repressione della manifestazione organizzata dagli algerini che chiedevano l'indipendenza il 17 ottobre 1961 a Parigi, manifestazione che fece decine di morti e centinaia di feriti. D’altra parte, la strage di Orano di un anno dopo, il 7 luglio 1962, causò molti più morti e feriti, ma era inutile attendersi delle scuse, o quanto meno un riconoscimento di responsabilità, dall'Algeria. È vero che il pentimento, frutto della tradizione giudaico-cristiana, non è uno dei cinque pilastri dell'Islam. Siamo ancora in attesa del riconoscimento da parte della Turchia, se non della sua responsabilità per il genocidio armeno, almeno dell'ammissione della realtà di questo genocidio. Gli Stati Uniti oggi condannano la schiavitù che resterà per sempre come una macchia indelebile nella loro storia, anche se l’hanno debellata al termine di una sanguinosa guerra civile; il mondo arabo, dal canto suo, si rifiuta non solo di esaminare il ruolo che ha avuto nell'organizzazione della tratta degli schiavi, ma si difende strenuamente contro questa “accusa”, per quanto ampiamente documentata. Si sussurra, tuttavia, che si trovino ancora degli schiavi in alcune nazioni del Medio Oriente. Allo stesso modo, la scomparsa delle popolazioni ebraiche che vivevano in questa regione molto prima della comparsa dell'Islam, vittime di massacri e spinte all'esilio come in Iraq o cacciate dalle loro case come in Egitto, non ha mai suscitato alcun briciolo di coscienza in questi due Paesi. In effetti, l'Egitto si rifiuta di affrontare l'argomento, anche solo per paura di vedere le vittime o i loro familiari rivendicare i beni di cui furono spogliati. Quasi un milione di profughi ebrei dai Paesi arabi hanno dovuto ricominciare la loro vita sotto altri cieli senza beneficiare di alcuna delle benevoli attenzioni profuse ai rifugiati palestinesi dalle Nazioni Unite e da altre organizzazioni internazionali. I media, sempre appassionati di “crimini” reali o immaginari attribuiti a Israele, curiosamente tacciono sulle atrocità commesse dagli arabi contro gli ebrei. Ad esempio, il massacro di Hebron.
La copertina del libro di Albert Londres
Il 24 agosto del 1929, settanta ebrei, uomini, donne e bambini furono brutalmente assassinati. Bisogna leggere il terribile resoconto pubblicato lo stesso anno da Albert Londres, un giornalista che non era ebreo, nel suo libro “L'ebreo errante è arrivato.” Un altro massacro fu quello del convoglio che portava medici e infermieri all'ospedale Hadassah sul Monte Scopus il 13 aprile del 1948. Nell'attacco a colpi di arma da fuoco, settantotto ebrei rimasero uccisi o sono bruciati quando i loro veicoli furono incendiati dalle “sante forze arabe di Gerusalemme” di Abdel Kader Al Husseini. Ventitré delle vittime erano donne. Abdel Kader Al Husseini è ancora oggi venerato dalla società palestinese, che vede in lui un leader valoroso ed un eroe.