Fenomeni da talk show
Commento di Diego Gabutti
(da Italia Oggi)
Alessandro "Dibba" Di Battista
In futuro – sopravvivendo la specie umana ai disastri ambientali (e agli ambientalisti) come pure ai virus (e ai virologi) – qualche nostro remoto discendente avrà un sussulto e si stropiccerà gli occhi capitando sulle registrazioni dei talk show italiani in tempi di recovery found, grillismo e pandemia. Senza rinviare lo sbigottimento tanto lontano nel tempo, personalmente ho qualche sussulto già adesso quando appare in tivù, in abiti da montanaro, l’opinionista corretto Fernet che porge la battuta, dopo averle dato (avrà avuto le sue ragioni) della «gallina», alla conduttrice di CartaBianca. Montanaro per montanaro, non si potrebbe avere al suo posto il nonno di Heidi, tanto più astemio e dignitoso? Purtroppo, passando oltre, non c’è altro Dibba che Dibba; pertanto, nel suo caso, non si può sperare in una versione più nobile (non c’è un «Dibba di Heidi», per capirci).
Capopopolo da Corrierino dei piccoli, personaggio così irreale che non troverebbe posto nemmeno nelle pagine di Gianburrasca o della Guerra dei bottoni, Dibba passa in tivù come un politico progressista di rango: l’equivalente postmoderno di Pajetta o del Migliore (l’equivalente postmoderno di Berlinguer, data la location, è naturalmente il montanaro). Come Dibba è il testimonial calzato, vestito e ben sbarbato della scissione in progress dei pentastellari, lui «er rivoluzionario» di Trilussa e i suoi avversari «tutta ’na cricca de reazionari», ci sono anche i testimonial dell’antifascismo, non meno improbabili di lui, e sempre di vedetta: il magistrato che scrive romanzetti polizieschi, la blogger-drammaturga-opinionista televisiva che guarda tutti (fascistoni e anti) storto e con sospetto, lo storico dell’arte No-CAV che nega d’essere (quando mai, sono solo antifà) un negazionista delle foibe, il saggista antidroga sotto scorta che si crede bello.
C’è poi il tizio che fa coming out in diretta tivù nella speranza che nessuno, in tempi di guerra all’omofobia, osi negare una candidatura (quando si tornerà alle urne, e non manca molto) a un omosex dichiarato. E non dimentichiamo il filosofo che – in quanto «il mio mestiere è il pensiero critico», mica sono un qualsiasi acchiappafarfalle televisivo o montanaro o blogger – con quella barba può sbraitare tutto ciò che vuole. Questo baraccone dei fenomeni viventi è il cast dell’infinito, imaginifico talk show italiano. Politica pop e pulp. Ne stupiranno, la specie perdurando, i nostri remoti discendenti. A specie estinta, forse sarà un alieno di passaggio a strabuzzare gli occhi (occhi a pallina da golf, posti in cima ai cornetti, come le lumache) e a sbavare via, turbato.
Diego Gabutti