Riprendiamo da ITALIA OGGI di oggi, 19/10/2021, a pag.12, con il titolo "Il tesoro culturale ebraico", il commento di Arnaldo Benini.
Giacomo Debenedetti
Dopo l'armistizio, l'8 settembre 1943, dell'Italia con gli Angloamericani lo stato maggiore tedesco intendeva ritirarsi dall'Italia del Sud. Joseph Göbbels, capo della propaganda nazista e teorico, dal 1943 in poi, della «guerra totale», scrisse nel diario il 10 settembre che «Non siamo in grado di difendere l'Italia del Sud, dobbiamo ritirarci a Nord di Roma». Hitler ordinò invece la resistenza. Da Roma in su l'Italia era sotto l'arbitrio dei tedeschi, che l'avevano invasa dopo la caduta di Mussolini il 25 luglio del 1943. Ufficialmente l'Italia del centronord, a partire dal 23 settembre 1943, era una Repubblica sociale, nel cui manifesto programmatico Mussolini decretava che «gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica». La legge antiebraica del 1938 aveva emarginato gli ebrei, che, dall'asilo infantile in su non avevano accesso ad istituzioni pubbliche e private ma, tranne rare eccezioni, non c'erano state violenze verso di loro. L'11 settembre 1943 il feldmaresciallo Albert Kesserling dichiarò l'Italia, Roma compresa, territorio militare sotto controllo tedesco. La Repubblica fascista di Mussolini non aveva alcun potere. Il 23 settembre 1943 il capo delle SS Ernst Kaltenbrunner ordinò alle truppe d'includere gli ebrei italiani nelle misure antirazziali stabilite nelle conferenza dei capi nazisti a Wannsee il 21 gennaio 1942. Dovevano essere sterminati. La decisione di Hitler di resistere in Italia ha comportato la morte di migliaia di ebrei: il loro tributo di sangue, dal 1943 al 1945, è stato enorme.
Nel Corriere del Ticino del 27 aprile scorso si è parlato del libro 16 ottobre 1943 dell'ebreo Giacomo Debenedetti sullo spietato rastrellamento di milleduecento ebrei nel ghetto di Roma, trasferiti ad Auschwitz, da dove ne tornarono una decina. Fu l'inizio della tragedia. I nazisti alla caccia di libri ebraici. La comunità ebraica pagò un tributo d'altro genere al furore antisemita, non paragonabile alla perdita di vite umane ma nondimeno pesante. Nel 1940, su mandato di Hitler, il «filosofo» del nazismo e feroce antisemita Alfred Rosenberg istituì una squadra di una trentina di persone per coordinare la confisca in Germania e nei paesi occupati di materiale librario ebraico. Serviva, si disse, per confermare che gli ebrei erano sempre stati e continuavano ad essere una minaccia per la Germania e per il mondo. I membri della squadra indossavano una divisa, descritta da Giacomo Debenedetti: «attillata, di un'eleganza schizzinosa, astratta e implacabile, che inguaina la persona, il fisico ma anche e soprattutto il morale, con un ermetismo da chiusura lampo». Alla fine del 1941 la Historische Zeitschrift (Rivista di storia) poteva annunciare che a Francoforte era sorta la più grande biblioteca del mondo per lo studio della Judenfrage (problema ebraico) con circa 350mi1a volumi, rastrellati in Germania e continuamente alimentata da saccheggi in tutta Europa, specie a Parigi, Amsterdam, Bruxelles, Belgrado, Salonicco, Vienna, Riga, Vilnius, Ferrara, Roma. Fra il 1943 e il 1945 nell'Europa occidentale furono razziati circa 3 milioni di libri. Nel gennaio 1944, all'approssimarsi del fronte, per impedire che finisse sotto uno dei frequenti bombardamenti, una parte della biblioteca fu trasferita nel vicino castello di Hungen. Si salvò, come anche il resto rimasto in città. Fu presa in consegna dagli Americani. Una parte del patrimonio librario era finito anche nella biblioteca della polizia nazista a Berlino, che voleva documentarsi circa i «nemici» del nazismo. Alla fine del '43 una parte dei libri fu evacuata da Berlino e conservata in Slesia e nei Sudeti.
Il saccheggio a Roma
Il 30 settembre e il 1° ottobre 1943 due azzimati tedeschi, membri della squadra di Rosenberg, che si qualificarono come orientalisti e uno come professore di lingua ebraica, esaminarono la biblioteca comunitaria ebraica di Roma, che comprendeva manoscritti, 4.728 volumi, 28 incunaboli, 183 cinquecentine, alcune delle quali provenienti da Costantinopoli, e testi sei e settecenteschi da Venezia e Livorno, in tutto 7 mila opere, non catalogate. Poi i «professori» misero le mani nella biblioteca del Collegio Rabbinico, nello stesso edificio. Conteneva circa 10 mila volumi di testi liturgici, di Talmud, di filosofia e bibliografia, catalogati a metà degli anni '30. Gli aguzzini ammonirono che l'asportazione anche di uno solo dei libri sarebbe stata punita, racconta Giacomo Debenedetti, «secondo la legge di guerra tedesca», cioè con la morte. L'11 ottobre iniziò il saccheggio. Dall'11 al 14 ottobre 1943 la squadra di Rosenberg vuotò la biblioteca comunitaria (con l'eccezione di codici biblici, alcuni libri e sette incunaboli, conservati nella cassaforte della Sinagoga) e asportò buona parte della biblioteca del Collegio Rabbinico. I libri furono sigillati in due carri ferroviari e spediti a Monaco d.B. Un terzo vagone, con i libri dal Collegio Rabbinico, partì in dicembre. Dopo la guerra. Che cosa ne è stato dopo la guerra di quell'immenso patrimonio culturale? Nel marzo 1946 gli Alleati, di fronte all'enormità del saccheggio, crearono a Offenbach un deposito-archivio in cui storici, bibliotecari, curatori di musei e archivisti erano impegnati a recuperare, identificare, e restituire libri, incunaboli, manoscritti. Il compito era arduo perché moltissimi libri, durante i traslochi, s'erano mescolati senza conservare traccia della provenienza. Fino alla chiusura, nel 1949, l'archivio trattò circa 3 milioni e mezzo di pubblicazioni in 35 lingue, restituite a più di 14 nazioni. Gli Americani mandarono alla Biblioteca del Congresso a Washington circa diciannovemila pubblicazioni antisemitiche provenienti da biblioteche e istituti tedeschi. Da Offenbach tornò a Roma nel 1948 la biblioteca del Collegio Rabbinico. Arrivarono 6.580 volumi e 1760 brossure. Non si rintracciò il catalogo, per cui non si sa esattamente quanto materiale sia scomparso. Le tracce della biblioteca comunitaria si sono in parte perdute. Nel 2002 fu istituita presso la Presidenza del Consiglio italiana una commissione per il recupero del patrimonio bibliografico della comunità ebraica di Roma, che nel 2009 ha pubblicato un rapporto dettagliato. Di una parte del materiale, depositato a Berlino nella zona russa, se ne è perduta ogni traccia. Le ricerche, con le immaginabili difficoltà, continuano.
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