Che cosa cambia in Medio Oriente?
Commento di Lorenzo Vidino
Testata: La Repubblica
Data: 18/10/2021
Pagina: 26
Autore: Lorenzo Vidino
Titolo: Aria nuova in Medio Oriente
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 18/10/2021, a pag.26, con il titolo "Aria nuova in Medio Oriente" l'analisi di Lorenzo Vidino.
Lorenzo Vidino
Il Medio Oriente è più tranquillo. Non è certo quello che siamo abituati a sentire in riferimento a quella che da decenni è la regione più turbolenta del mondo. E non vuole assolutamente dire che i conflitti e le tensioni da cui è endemicamente flagellato siano evaporati. Ma negli ultimi mesi è ben visibile una generale tendenza che sta portando pressoché tutti i governi mediorientali ad adottare politiche estere meno aggressive e a dirimere le mutue divergenze attraverso la diplomazia. Anche tra nemici storici si urla, ci si minaccia e ci si attacca meno. È cosi tra Arabia Saudita e Iran, la cui rivalità politica e settaria (si erge a rappresentante dei sunniti la prima, degli sciiti il secondo) ha spaccato il Medio Oriente negli ultimi 40 anni. Dall’inizio dell’anno Riyadh e Teheran hanno per la prima volta in anni iniziato a dialogare e si parla della riapertura delle reciproche ambasciate. Hanno riaperto le relazioni anche Egitto e Turchia, per anni divise alacremente dal supporto dato da Ankara alla Fratellanza Musulmana. Quasi tutti i Paesi arabi hanno riallacciato i rapporti con il regime di Bashar al Assad, constatandone la capacità di essere sopravvissuto alla guerra civile siriana. Ed è poi finito l’embargo del Qatar, con il quale gli altri Paesi del Golfo hanno riaperto relazioni diplomatiche e commerciali dopo anni di tensioni dovuti ai rapporti di Doha con la Fratellanza e con l’Iran. Ed è proprio lo sviluppo commerciale la molla che spinge i Paesi della regione. Creare economie sostenibili per una regione che oltre alla drammatica situazione attuale negli anni a venire dovrà affrontare nuove criticità, tra cui boom demografico, diminuzione della produzione petrolifera e cambiamento climatico e conseguente desertificazione, è la priorità. E ciò porta ad accantonare o perlomeno a gestire differenze ideologiche per cercare accordi commerciali. In tal senso, anche chi nella regione vi si oppone non può non notare che uno degli effetti principali degli Accordi di Abramo, che hanno appena festeggiato il primo anniversario, è stato il boom di affari in ogni settore tra Israele e i Paesi arabi che li hanno sottoscritti. Gli Emirati Arabi Uniti incarnano perfettamente questa nuova stagione politica della regione. Se nella scorsa decade si erano guadagnati l’appellativo di "piccola Sparta" per l’impegno militare in vari teatri, dalla Libia allo Yemen, ora mirano dichiaratamente a diventare la Singapore del Medio Oriente — in pace con tutti e hub mondiale di commercio e innovazione. In questo "nuovo" Medio Oriente potrebbe giocare un maggior ruolo anche l’Italia. Il nostro Paese ne ha le potenzialità: una vicinanza geografica e culturale maggiore rispetto ad altri Paesi europei, i quali scontano anche un passato coloniale tendenzialmente più pesante del nostro; un appeal del "brand Italia" che va dalla moda e il cibo a industrie più pesanti; e buoni rapporti con pressoché tutti i governi della regione (al netto di alcuni passi falsi diplomatici degli ultimi mesi, quali le tensioni inutilmente create con Arabia Saudita ed Emirati). Manca però la capacità di "fare sistema", di proporsi come un attore univoco con una partnership attiva tra pubblico-privato, come invece fanno bene francesi, inglesi e tedeschi.
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