Undici anni fa, durante un festival di letteratura a Bali, ho partecipato a una tavola rotonda insieme allo scrittore australiano Christos Tsiolkas, autore del romanzo Lo schiaffo, (diventato poi una serie televisiva di successo). Prima che salissimo sul palco Tsiolkas per me era «lo scrittore con il cognome bizzarro», ma al momento di scendere mi ero trasformato in un suo ammiratore sfegatato. Tsiolkas, nel suo intervento brillante e scorrevole, aveva parlato con franchezza della sua infanzia in una famiglia di emigrati greci. Aveva descritto, critico ma pur sempre con grande sensibilità, episodi di razzismo e antisemitismo vissuti in gioventù, di cui tratta anche nei suoi libri. A fine serata ho domandato a Tsiolkas chi fosse il suo editore in ebraico e mi sono affrettato a spiegargli che in Israele c'erano parecchie persone a we vicine a cui desideravo far conoscere la sua visione liberale e illuminante. Tsiolkas, uno degli scrittori più gentili e adorabili che abbia mai conosciuto, mi ha rivolto un sorriso un filo imbarazzato prima di spiegarmi che era impossibile trovare i libri in ebraico perché lui partecipava al boicottaggio culturale dello Stato d'Israele, oppressore del popolo palestinese. «Rispetto la tua scelta — ho risposto — ma fatico a comprenderla. A mio avviso la tua scrittura potrebbe essere una vera medicina contro il razzismo. Se ritieni che Israele sia un Paese razzista, dovresti far tradurre i. tuoi scritti e lanciarne copie dagli aerei sugli insediamenti al di là della Linea Verde». Quando ho letto che la nota scrittrice irlandese Sally Rooney ha deciso di non far pubblicare il suo romanzo Beautiful World, Where Are You? mi è tornato in mente Tsiolkas. Proprio perché Rooney, così acuta e intelligente, rappresenta il pensiero dei millennial e della nuova sinistra, io, da liberale israeliano, ritenevo che la pubblicazione del suo libro in ebraico avrebbe rafforzato la debole sinistra del mio Paese, fornendole argomentazioni e distinzioni che avrebbero reso un buon servizio al suoi obiettivi e a quelli di Rooney. In fondo è proprio questo il motivo per cui tutti scriviamo, no? Per permettere a chiunque d legga di provare cosa significa essere noi e rendersi conto che I fatti possono essere recepiti anche da una diversa prospettiva. I boicottaggi possono rappresentare uno strumento di pressione legittimo nel nostro mondo, ma mi paiono molto meno efficaci e ragionevoli quando si estendono al terreno della letteratura. La volontà di impedire a un pubblico di fruire di specifiche opere è antica e per lo più caratterizza regimi oppressivi. Perché quando si tratta di un libro, puoi sapere che persona sei quando cominci a leggere, ma non puoi sapere chi sarai quando arrivi al termine. Il potere della letteratura di modificare la coscienza ha sempre minacciato i regimi oppressivi ma a volte, stranamente, anche i boicottaggi intellettuali e culturali sostengono le forze dominanti che favoriscono l'ignoranza. Alcuni anni fa sono usciti due miei libri in persiano. Sono stati stampati in Afghanistan e una parte, a detta dell'editore, è stata trafugata in Iran. Il pensiero che i miei racconti riuscissero ad arrivare in posti dove io non posso andare mi ha commosso fino alle lacrime. Nemmeno per un attimo ho pensato che avrei dovuto provare rimorso perché venivo pubblicato in una società sottoposta a un regime oppressivo, anzi: ho sentito che i miei testi potevano rappresentare un sostegno e ricordare a ogni iraniano che anela all'uguaglianza e alla parità dei diritti per donne e Lgbt che non è solo. E proprio questo, a mio avviso, il compito della scrittura: insegnare e sostenere, non punire e boicottare. Non ho mai pensato che si dovessero boicottareí testi di Céline o di Ezra Pound a causa delle opinioni degli autori: non penso che si debba impedire a nessun lettore l'accesso a un testo. La letteratura è un animale selvatico, destinato a vagabondare imbattendosi in chiunque desideri incontrarlo, e a me non sembra opportuno limitare il tragitto della sua influenza con steccati e muri.
(Traduzione dall'ebraico di Raffaella Scardi)
Per inviare al Corriere della Sera la propria opinione, telefonare: 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante