Fiamma Nirenstein, Jewish Lives Matter. Diritti umani e antisemitismo, Giuntina 2021, pp. 128, 10,00 euro, eBook 6,99 euro.
Fiamma Nirenstein
Farà discutere Jewish Lives Matter. Diritti umani e antisemitismo, il pamphlet di Fiamma Nirenstein pubblicato dalla Casa editrice Giuntina. E un tema caldo. L'autrice confessa di averlo affrontato scrivendolo di getto, e con «rabbia nutrita di dolore». Perché, rabbia e dolore? «Ho già spiegato in lungo e in largo — scrive — come l'antisemitismo sia diventato odio per Israele, ma questa è la prima volta che vedo i miei stessi amici cadere in preda, lentamente e senza accorgersene, di un alieno spirito antisemita, uno spirito che si è fatto strada in loro proprio in nome delle buone cose in cui credono: i diritti umani». II libro prende le mosse dalla ricostruzione delle cause che hanno portato all'ultimo scontro fra Israele e Hamas (l'evacuazione delle case di Gerusalemme Est abitate da famiglie arabe, l'impedimento della libertà religiosa sulla Spianata delle Moschee, il cambiamento dello status quo a Gerusalemme), e prosegue con il racconto di quanto è accaduto (4.500 razzi sparati da Gaza, la ritorsione israeliana, consistita nella distruzione delle basi di lancio e dei missili e delle gallerie sotterranee, il numero diseguale dei morti: 26o a Gaza, 13 in Israele — ma, sottolinea l'autrice, di quei 26o, 200 erano capi operativi di Hamas, quin L'allarme Per la scrittrice l'odio per gli ebrei è diventato odio per Israele. E dilaga in Occidente di terroristi). Undici giorni di sangue, di paura, di bambini usati come scudi umani, che invece, secondo Fiamma Nirenstein, hanno origine da una volontà che precede le Cause suddette e sta tutta intera scritta nella geopolitica mediorientale, dominata in questo momento dall'Iran e dalla Turchia, e nella strategia di Hamas, la cui Carta del 1987 esplicitamente proclama che Israele dovrà scomparire dalla faccia della terra. Ma l'origine del problema — scrive Nirenstein — è sempre la stessa: «II misterioso impulso che da tremila anni considera gli ebrei un ospite speciale di questo mondo. Un ospite previlegiato, vittimizzato, diverso...». Dunque, come tutti i diversi che fanno le vittime e sono invece privilegiati (dal danaro, dalla ricchezza, dal potere; leggere i Protocolli dei savi di Sion), ospiti da estinguere. Questo è l'antisemitismo: quello storico, quello dei ghetti, quello dei pogrom nell'Europa dell'Est, quello di Stalin, quello di Hitler, quello dei sei milioni bruciati nei campi di concentramento nazisti non più tardi di ottanta anni fa. Ora — sostiene Nirenstein — questo odio per gli ebrei si è trasformato in odio per Israele. Un odio che sta dilagando in Occidente, nelle università, nei giornali, addirittura nei videogiochi (è di adesso la notizia di un nuovo game pronto a dicembre, il cui vincitore è quello che stermina più israeliani possibile), e a poco a poco si sta insinuando nell'opinione pubblica, benedetto dalla conferenza del 2001 dell'Onu a Durban, nella quale le parole «antisemitismo» e «Olocausto» non compaiono, mentre i palestinesi vengono considerati «vittime del razzismo israeliano». Israele non è un Paese razzista. Basterebbe visitare i suoi ospedali, dove malati arabi sono curati e stanno accanto a pazienti israeliani; o sottolineare che uno dei tre giudici che hanno condannato l'ex presidente della repubblica Moshe Katzav a cinque anni di carcere per molestie sessuali, è arabo. Israele, sostiene Fiamma Nirenstein — ed è difficile darle torto — è l'unico Paese democratico del Medio Oriente. Dunque, «la logica su cui poggia l'attuale insorgenza ideologica contro lo Stato degli ebrei è una spaventevole destrutturazione della nostra stessa natura democratica e antifascista, è una logica suicida perché oblitera il senso critico su cui si è costruita l'etica democratica». In poche parole, è un vulnus che procuriamo a noi stessi. Così come è un vulnus che Israele provoca in primo luogo a sé stesso e alla sua credibilità, la sciagurata (a giudizio di chi scrive) proliferazione degli insediamenti nei Territori occupati. Questo, tanto per smentire la favoletta che non si può criticare Israele perché si corre il rischio di essere tacciati di antisemitismo.