Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 11/10/2021, a pag. 26, con il titolo "Levi-Steinberg. Un’amicizia di 'razza' ", il commento di Marco Belpoliti.
Marco Belpoliti
Primo Levi
Nel 1984 Saul Steinberg scrive a Aldo Buzzi della pubblicazione in America del Sistema periodico di Primo Levi: in risposta l’amico gli suggerisce di leggere il primo libro dello scrittore italiano, Se questo è un uomo, che Saul ancora non conosce. A colpire l’artista è un dettaglio raccontato nel capitolo Nichel di The Periodic Table. Levi vi parla del suo diploma di laurea: «Avevo in un cassetto una pergamena miniata, con su scritto in eleganti caratteri che a Primo Levi, di razza ebraica, veniva conferita la laurea in chimica con 110 e lode: era dunque un documento ancipite, mezzo gloria e mezzo scherno, mezzo assoluzione e mezzo condanna». Steinberg conserva un identico documento con la stessa definizione: “di razza ebraica”. Il disegnatore romeno ha ottenuto la laurea in Architettura presso il Politecnico di Milano il 4 marzo 1940, mentre Levi è diventato dottore in Chimica il 12 giugno 1941. I loro destini si sono svolti in direzioni opposte: Saul è riuscito a lasciare l’Italia per via delle Leggi razziali nel 1941, e nel 1942 è entrato negli Stati Uniti, mentre Primo è catturato dalla Milizia fascista nel dicembre del 1943 e avviato ad Auschwitz. Il primo ha combattuto la guerra nelle file dell’OSS, il servizio segreto americano, il secondo è sopravvissuto al Lager anche grazie alla sua laurea. Poco dopo aver letto la storia del certificato dello scrittore italiano, Steinberg invia una copia del proprio a Levi. Nel luglio del 1985 riceve a sua volta il certificato di laurea dello scrittore da poco rientrato da un viaggio in Usa. Immediatamente Saul lo spedisce ad Aldo Buzzi: «Un regalo per il tuo compleanno — il diploma di Ebreo che mi ha mandato Primo Levi, una meraviglia di volgarità, e che fortuna Azzo Azzi». Azzo Azzi è il rettore dell’università a quel tempo e sul suo nome Steinberg non si trattiene dal fare un commento comico. La lettera di Saul, pubblicata solo nel 2002 (in Lettere a Aldo Buzzi, Adelphi), contiene un’osservazione sul diverso stile grafico dei due certificati: «Gli avevo mandato il mio diploma sul quale “razza ebraica” era stampato in perfetto gusto, ben stampato in Bodoni che lo rendeva ancor più sinistro», mentre in quello di Levi la definizione è scritta a mano in corpo più piccolo.
Saul Steinberg
Dallo scambio nasce l’idea di incontrare il suo omologo di “razza ebraica” a Torino in uno dei viaggi in Italia che compie periodicamente. Quando Levi nel 1985 s’è recato in Usa su invito del suo editore americano ha cercato Steinberg al telefono. Primo è arrivato a New York con la moglie ed è coinvolto in una fitta serie d’incontri organizzati dai suoi ospiti. Tornando a Torino il 18 luglio scrive una lettera a Steinberg per scusarsi del modo sbrigativo con cui gli avrebbe parlato al telefono: «ero molto stanco (di una stanchezza linguistica che non avevo mai sperimentato prima) e terrorizzato dal telefono stesso, perché non ci si può aiutare coi gesti». Nella lettera lo scrittore italiano si lascia andare ad alcune riflessioni sulla sua identità di ebreo. Dopo aver definito anacronistico il diploma, fa una considerazione su quella definizione, “di razza ebraica”: «Quanto alla mia razza ebraica, non so dire se sussiste o no: mi comporto un po’ come i camaleonti, e in generale non me ne importa molto. Agli americani importava moltissimo: ho compiuto il mio viaggio, faticoso ma soddisfacente, sotto 3 etichette: Italiano, Chimico ed Ebreo, ma quest’ultima prevaleva di parecchio». Levi ha sempre dichiarato di essersi scoperto ebreo dopo le Leggi razziali del 1938, quelle stesse che costrinsero Steinberg a nascondersi per due anni aiutato dagli amici italiani (Buzzi, Zavattini, Guareschi, gli architetti dello studio BBPR e altri), leggi che decisero della vita di entrambi. Senza l’approdo in Usa il giovanotto emigrato a Milano dalla Romania non sarebbe probabilmente diventato il grande artista che conosciamo, così come il giovane chimico torinese trasportato ad Auschwitz in un carro bestiame diventerà scrittore solo dopo la terribile esperienza nei campi della morte. Un destino incrociato che passa attraverso quella definizione “di razza ebraica” sul rettangolo di carta che attestava la conclusione del loro corso di studi. Ma c’è un altro incrocio: alla pari dei suoi amici di gioventù Primo era un lettore fedele del giornale satirico su cui Steinberg disegnava le vignette: «leggere il Bertoldo era l’evento della settimana ». Primo cercava anche di imitare i disegni del periodico e, se questo gli riusciva più o meno bene con Giovanni Mosca, gli era impossibile con Steinberg, il cui stile era già unico allora, scrive. Non solo Primo disegnava, ma questa passione aveva coinvolto all’epoca anche un altro futuro scrittore, Italo Calvino, che proprio sul Bertoldo debuttò con i suoi disegni e lo pseudonimo di Jago nella rubrica “Il cestino”. Nel mandare il suo diploma a Buzzi, oggi esposto nella mostra milanese alla Triennale dedicata all’artista romeno-italiano-americano, Steinberg fa l’elenco di ciò che è scomparso da quel lontano 1940: Sua Maestà il Re d’Italia, il Regno stesso, compresi quelli d’Albania ed Etiopia: «Che tempo crudele e imbecille. Tutto sparito». Anche l’architetto, scrive, è sparito non avendo mai esercitato quel mestiere. E conclude: «È rimasto solo Saul, figlio di Moritz, di razza Ebraica. Infatti questo è un Diploma di Ebreo». Più ironico su sé stesso non avrebbe potuto esserlo, ed è la stessa ironia e il medesimo umorismo che traspare dalle pagine del suo omologo italiano che tanto gli erano piaciute.
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