In carcere in Iran: il libro di Sepideh Gholian
Commento di Carmine Gazzanni
Testata: La Notizia
Data: 09/10/2021
Pagina: 14
Autore: Carmine Gazzanni
Titolo: La verità sbattuta in faccia. Conoscerla significa fare i conti con la vergogna del mondo
Riprendiamo dalla NOTIZIA di oggi, 09/10/2021, a pag. 14, il commento di Carmine Gazzanni dal titolo "La verità sbattuta in faccia. Conoscerla significa fare i conti con la vergogna del mondo".
La copertina (Gaspari ed.)
"Ci picchiano da mezzogiorno alle 10 di sera. Temo che non resterò in vita. Dire che sono terrorizzata non basta davvero a esprimere ciò che provo. Sento qualcosa di caldo fuoriuscire dal mio corpo. Resto completamente muta, persino quando mi picchiano non riesco neppure a gemere. Sono certa che uccideranno Esmail e che questa oscurità non avrà mai fine (Esmail Bakhshi è un sindacalista della raffineria Haft Tappeh, imprigionato e torturato per il suo ruolo nella mobilitazione del 2018, ndr)". Comincia così il primo racconto di Sepideh Gholian. Un incipit che sbatte subito in faccia la tragedia del racconto, l'orrido che di nasconde in fondo a frammenti di mondo dimenticati.
Sepideh Gholian
Ma nel buio del racconto inquietante, delle violenze indicibili, degli abusi fisici e psicologici, si alza una voce libera, una voce che acquista forza e vigore man mano che si prosegue nella lettura di "Diari dal carcere" (Gaspari) perché c'è spazio anche per la solidarietà femminile, per la forza d'animo, per l'eroismo di chi non si arrende e non china il capo. L'attivista iraniana non è una donna qualunque: era stata arrestata dopo una protesta sindacale e condannata a diciotto anni di reclusione. Nel suo racconto dalla cella le torture, le confessioni forzate e la solidarietà. E questo stesso libro finisce con l'essere un miracolo. Per varie ragioni. Innanzitutto perché esiste: i diari di Sepideh sono stati pubblicati in Italia da una coraggiosa casa editrice, con il patrocinio di Amnesty International. Ma c'è, come detto, un'altra ragione. Il racconto si snoda in undici testimonianze al centro di detenzione, e otto nel carcere di Sepidar. E poi seguono dieci ritratti e dieci lapidi. Due facce della stessa medaglia divise soltanto dalla linea che demarca vita e morte. Un confine che avvertiamo in maniera così netta nelle nostre confortevoli esistenze, ma che in realtà è quanto mai flebile, delicata, quai trasparente e impercettibile in alcune zone del mondo. Una di queste è proprio il carcere iraniano di Sepidar. Dove Sepideh prende carta e penna. E scrive. E annota. E racconta. E fa politica. Quella vera. Che fa rabbia, certo. Indigna. Ma prima ancora commuove ed emoziona. Pagina dopo pagina.
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