Memoria della Shoah: la storia di Babij Jar
Cronaca di Sharon Nizza
Testata: La Repubblica
Data: 08/10/2021
Pagina: 17
Autore: Sharon Nizza
Titolo: L'Ucraina ricorda la 'Shoah dei proiettili', 100mila ebrei e oppositori politici massacrati dai nazisti
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 08/10/2021, a pag. 17, l'analisi di Sharon Nizza, dal titolo "L'Ucraina ricorda la 'Shoah dei proiettili', 100mila ebrei e oppositori politici massacrati dai nazisti".

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Sharon Nizza

Massacro di Babij Jar - Wikipedia
La forra di Babij Jar

«Ci hanno portato in una zona fuori Kiev, un viaggio di circa mezz’ora. Ho notato enormi pile di vestiti. Siamo scesi e ci hanno fatto bere alcol. Poi ho visto un gigantesco fossato, sembrava un fiume prosciugato, in cui giacevano diversi strati di cadaveri. Gli ebrei si dovevano sdraiare sui cadaveri e li fucilavamo alla nuca. Io sono stato di turno cinque o sei volte, ogni volta per dieci minuti. Siamo andati avanti fino alle 15:00, poi siamo stati riportati ai nostri alloggi e abbiamo pranzato. È possibile che quel giorno abbia sparato a circa 150, 250 ebrei. L’intera sparatoria si è svolta senza incidenti. Gli ebrei erano rassegnati al loro destino come agnelli». Le parole sono di Viktor Trill, membro cecoslovacco della Gestapo, durante il processo per crimini di guerra a Darmstadt, Germania Ovest, nel 1967. Assolto, come quasi tutti tra i pochi nazisti che vennero portati in giudizio per il loro ruolo nella "Shoah dei proiettili". Padre Patrick Desbois, presbitero cattolico francese ha così rinominato la pagina nera del genocidio nazista che ha sterminato 2,5 milioni di ebrei nell’Europa dell’Est, al centro dei suoi studi trentennali. Desbois è il direttore accademico del nuovo Memoriale della Shoah che sta prendendo forma a Babij Jar, il fossato della morte descritto da Trill, una delle testimonianze scoperte da Desbois in un lavoro volto a dare un nome e un volto a migliaia di vittime mai identificate e anche ai carnefici. La più grande fossa comune d’Europa oggi è un grande parco in un’area residenziale della Kiev moderna, luogo di svago per la popolazione locale, risultato dell’operazione sovietica di annichilimento della memoria della Shoah. Un doppio crimine che mercoledì è stato al centro di una cerimonia senza precedenti sul suolo ucraino, alla presenza dei presidenti ucraino, israeliano e tedesco, negli 80 anni dall’eccidio. Era il 29 settembre 1941, vigilia dello Yom Kippur, quando i nazisti, da poco occupata Kiev, massacrarono nell’arco di 48 ore scandite da fucilazioni senza sosta 33.771 ebrei. Un numero che emerge dai rapporti nazisti che registravano i propri crimini e che rappresenta l’inizio della fase attuativa della soluzione finale. In tre anni, a Babij Jar furono fucilate altre 70.000 vittime: ebrei, oppositori politici, zingari e disabili. Poi, il silenzio. «Siamo qui per ricordare non solo il crimine del massacro, ma anche quello dell’obliterazione della memoria», ha detto il neopresidente israeliano Itzhak Herzog, che ha scelto Kiev per la sua prima missione estera. «Sono nato e cresciuto a un miglio da questa enorme fossa comune, di cui non sapevamo nulla. Venivamo qui a giocare», testimonia Natan Sharansky, direttore del board del Memoriale, nove anni recluso in un gulag da dissidente politico nell’Urss. A rompere il codice del silenzio nel 1961 il poema — subito censurato dai sovietici — di Yevgeny Yevtushenko ("Non c’è nessun monumento a Babij Jar"), tradotto poco dopo da Dmitri Shostakovich della Sinfonia n. 13, sulle note cui note si è aperta la cerimonia. «Questo luogo più di ogni altro simboleggia lo sforzo sovietico di cancellare l’identità ebraica. Ma dopo Yevtushenko, mio padre mi disse: "finalmente posso raccontarti"», continua Sharansky. Il suo primo arresto avvenne proprio mentre si stava recando a Babij Jar per una commemorazione clandestina organizzata da giovani sionisti. Il silenzio è il tema ricorrente nei racconti di tanti presenti alla cerimonia. Rimma Kushnir accende una candela davanti ai ritratti dei suoi bisnonni. «Una volta all’anno vengo a Babij Jar a ricordare la mia famiglia. In genere c’è gente che fa yoga, jogging, nessuno sa cosa è accaduto qui. Ma le cose stanno cambiando. Questo evento mi commuove nel profondo». Marina Elgart Vorobeichik è nata a Kiev e in età adulta si è trasferita in Israele. Suo padre Ilia (all’epoca 6 anni) e sua nonna Nadia furono tra i pochissimi superstiti (se ne contano meno di 30) dell’eccidio. La loro testimonianza è riportata nel "Libro nero" in cui Vasilij Grossman documentò le atrocità dei nazisti e dei collaborazionisti dopo l’invasione dell’Unione Sovietica — che ne vietò subito la pubblicazione. Il proiettile li schivò e nella notte trovarono le forze di riemergere dalla massa di cadaveri — tra cui 26 membri della famiglia — sotto cui erano sepolti. «Da bambina non sapevo nulla, mio padre ci portava a Babij Jar per i grandi eventi. Ho una foto di mia sorella in abito da sposa poco prima della cerimonia. Solo più tardi ho capito che era la sua vittoria sui nazisti». A piazza Maidan, simbolo della rivoluzione arancione, c’è una piccola mostra che racconta l’orrore di Babij Jar. Marina non nasconde le lacrime. «Un evento senza precedenti». Sullo sfondo della commozione, un altro silenzio, sul ruolo dei collaborazionisti e dei delatori ucraini, che per ora resta un tabù. «Il fatto che l’Ucraina incoraggi la memoria della Shoah non è scontato», ci dice Dani Dayan, presidente di Yad Vashem. «L’Ucraina è entrata 30 anni fa nella famiglia delle democrazie. Ma uno dei principi di una democrazia fervente è guardare al proprio passato senza sconti: c’è ancora strada da fare. L’Ucraina non è l’unica».

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