Omaggio a Robert Capa
Commento di Roberto Vignoli
Testata:
Data: 30/09/2021
Pagina: 3
Autore: Roberto Vignoli
Titolo: Robert Capa, fotoreporter di guerra e poeta dello scatto
Riprendiamo dalla RAGIONE di oggi, 30/09/2021, a pag. 3, l'analisi di Roberto Vignoli dal titolo "Robert Capa, fotoreporter di guerra e poeta dello scatto".
Robert Capa
Una fotografia di Capa del D-Day, lo sbarco alleato in Normandia
Quando il 25 maggio 1954, a Thai Bin in Indocina, Robert Capa saltò su una mina antiuomo, John Mecklin, un corrispondente di "Time Life" che lo aveva accompagnato, fu il primo a soccorrerlo. Inizialmente non riusciva a credere a quel soldato che senza alcuna emozione continuava a ripetere «Il fotografo è morto». Lo trovò con una gamba dilaniata e un'ultima smorfia di dolore. Fu un momento durissimo per tutto il mondo dell'informazione. John Steinbeck scrisse: «Io ho molto viaggiato con Capa. Egli può forse aver avuto degli amici più intimi, ma certo non ne ha avuto alcuno che l'amasse di più». Hemingway, che a sua volta ne rimase affascinato sin dal primo incontro a Madrid, si ispirò alla sua storia per "Le nevi del Kilimangiaro" e "Per chi suona la campana". E così quel vivace bambino ungherese di origine ebrea che si chiamava Endre Friedmann (questo il suo vero nome), nato a Budapest il 22 ottobre 1913, sarebbe diventato il reporter più famoso, co-fondatore e presidente dell'agenzia fotografica più importante (la Magnum) e, durante la guerra di Spagna, autore dello scatto più pubblicato di sempre, "Morte di un soldato lealista", anche se controverso perché costruito. A 18 anni andò a Berlino, squattrinato ma pieno di buone intenzioni, e accettò di lavo- rare in camera oscura per l'agenzia Depot. Capitò che il reporter che doveva documentare l'arrivo di Lev Trotzky a Copenaghen si ammalasse e non c'era nessun altro a sostituirlo. Andò lui, e abilmente riuscì a intrufolarsi tra le guardie e fu l'unico a documentare il politico russo esiliato da Stalin che teneva il comizio. Foto non belle ma uniche e pubblicate in tutto il mondo. Comprese cosa voleva fare nella vita e di lì a poco, in fuga dal nazismo, arrivò a Parigi, la sua città preferita. Conobbe una bionda, bella, anch'essa fotografa, che sarebbe diventata il suo grande amore. Gerda Taro perderà la vita durante la guerra di Spagna, ma fu lei ad avere la prodigiosa intuizione di cambiargli il nome in Robert Capa. Lo spinse a spacciarsi per fotografo americano e da quel momento gli affari cominciarono magicamente a marciare. Ormai divenuto un famoso fotografo di guerra, ma afflitto dal dolore per la perdita di Gerda, dopo la Spagna Capa documentò il conflitto cino-giapponese e l'avanzata degli alleati, dalla Sicilia fino all'ultimo scontro nel 1945 a Lipsia. Realizzò poi un progetto a lui caro da tempo: fondare insieme a Henri Cartier-Bresson, David Seymour e George Rodger la mitica agenzia Magnum, ancora oggi la più prestigiosa. Quindi ripartì. Russia nel 1947, fondazione di Israele nel 1948, un film di John Huston e poi la sua ultima, tragica, missione in Indocina. Ma di tutto il suo lavoro spicca lo sbarco in Normandia, le cui foto vennero distrutte per errore in camera oscura, anche se ultimamente sono sorti dei dubbi sulla questione. Se ne salvarono soltanto 11. Aveva rischiato la vita come un qualsiasi soldato sulla spiaggia di Omaha Beach, tra i proiettili delle mitragliatrici tedesche che decimavano le truppe da sbarco. 11 fotogrammi considerati, comunque sia andata, i migliori di quell'incredibile, lunghissimo D-Day.