Inghilterra: la ministra Kemi Badenoch aggredita dalla cancel culture
Commento di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio
Data: 30/09/2021
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: 'Non mi interessa il colonialismo'. E il ministro di colore scandalizza
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 30/09/2021, a pag. 2, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo " 'Non mi interessa il colonialismo'. E il ministro di colore scandalizza".

A destra: Kemi Badenoch

Informazione Corretta
Giulio Meotti

Roma. Il ministro inglese per l'Uguaglianza, Kemi Badenoch, ha detto che se ne frega del colonialismo e i nuovi decolonizzatori non l'hanno presa bene. Badenoch ha affermato che le società africane erano problematiche ben prima dell'arrivo delle potenze europee ("non c'è mai stato alcun concetto di `diritto"') e ha sostenuto che gli imperialisti "hanno soltanto creato un gruppo diverso di vincitori e vinti". Nata a Londra da genitori nigeriani, Badenoch è stata attaccata pesantemente per queste affermazioni. Bernard Jenkin, presidente del comitato di collegamento dei Comuni, ha dichiarato: "L'estrema sinistra sta cercando di cacciare donne come Kemi Badenoch fuori dalla politica. Non trattano gli uomini bianchi in questo modo".

Sul Telegraph la difende un grande storico, David Abulafia: "Provo simpatia per Kemi Badenoch. Gli aztechi e gli inca erano essi stessi conquistatori che soggiogavano altri popoli e sfruttavano il loro lavoro". Gli Aztechi, ha spiegato Abulafia, sacrificarono un gran numero di prigionieri di guerra. "Possiamo aggiungere all'elenco degli imperi i turchi ottomani. Badenoch ha ragione a menzionare gli imperi africani. Nel XIV secolo Mansa Musa, re del Mali, era considerato la persona più ricca del pianeta e si diceva che legasse il suo cavallo a una colonna d'oro. Kemi Badenoch ha ragione sul fatto che è ora di smettere di generalizzare sul `colonialismo' e di riconoscere la complessità del passato". Ma una donna di colore che esprime questo tipo di opinioni è un grave inconveniente per la fiorente industria del risentimento. Quando il presidente della Commissione sulle disparità razziali ed etniche, Tony Sewell, in un rapporto ha concluso che, sebbene la Gran Bretagna non sia ancora "una società post-razziale", il razzismo sistemico è una balla e che "la Gran Bretagna dovrebbe essere vista come un modello per altri paesi a maggioranza bianca", è stato colpito da un'ondata di violenti attacchi. Si va da "Zio Tom" a un professore di Cambridge che lo ha paragonato al ministro nazista Joseph Goebbels. Un membro laburista del parlamento ha scomodato anche il Ku Klux Klan. Stessa sorte riservata a Munira Mirza, proveniente dalla classe operaia pakistana e consulente di Boris Johnson sulle disuguaglianze, definita "carnefice marrone" della "supremazia bianca".

Quando Tim Scott, senatore repubblicano di colore degli Stati Uniti, ha detto che "1"America non è razzista, chiedetelo alla mia famiglia, passata dalle piantagioni di cotone al Congresso in una generazione", sui social è stato chiamato #UncleTim e "Oreo", dal nome del biscotto bianco dentro e nero fuori. La Southern Poverty Law Center ha incluso Ayaan Hirsi Ali, di origine somala e la più famosa dissidente del mondo islamico, e Maajid Nawaz, musulmano britannico che ha creato la Fondazione Quilliam per combattere il radicalismo, in una lista nera di "estremisti" (il Centro dovrà risarcire i due). E l'intellettuale marxista afroamericano Adolph Reed è stato bandito da una conferenza dei Democratici a New York per aver criticato le ossessioni del nuovo antirazzismo. Quando le minoranze dissentono dai nuovi ideologi diventano il loro peggior incubo.

Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante
lettere@ilfoglio.it