Angela Merkel ci lascia un’Europa inaffidabile e impotente di fronte al futuro
Analisi di Carlo Panella
Testata: Linkiesta
Data: 26/09/2021
Pagina: 1
Autore: Carlo Panella
Titolo: Angela Merkel ci lascia un’Europa inaffidabile e impotente di fronte al futuro
Angela Merkel ci lascia un’Europa inaffidabile e impotente di fronte al futuro
Analisi di Carlo Panella

(da Linkiesta.it)

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Angela Merkel

Qui si parla male di Angela Merkel. Non certo come kanzlerin, perché i tedeschi hanno tutte le ragioni per esserle grati per come ha difeso per 16 anni solo gli interessi della Germania, garantendo uno sviluppo economico e un’armonia interna encomiabili. Tra l’altro, violando il trattato di Maastricht con un voluminoso e formalmente proibito surplus di esportazioni, a pieno danno degli altri paesi europei, in primis dell’Italia. Si parla male, molto male, di Angela Merkel come leader europea e internazionale, ruolo che spetta obbligatoriamente a chi governa il più grande e il più potente paese del vecchio continente.

L’accusa è precisa e netta: Angela Merkel, in perfetta e pessima sintonia, va detto, col suo predecessore, il socialdemocratico Gerard Schroeder, ha interrotto la lunga catena di cancellieri tedeschi portatori di strategie e sdi messaggi guida per l’Europa. Nei fatti, all’Europa, Angela Merkel ha fatto più male che bene. Non certo così Konrad Adenauer, a capo di una Germania distrutta dalla guerra e giustamente vergognosa di sé, che nei primi anni ’50 fu il fiero sostenitore, assieme a Guy Mollet e Alcide de Gasperi (e Ernesto Rossi e Altiero Spinelli) della Comunità Europea di Difesa (Ced), che comportava un governo politico unitario del Continente. Una visione alta, strategica del ruolo dell’Europa che per di più affidava la difesa della Germania, allora disarmata, ma in prima linea contro l’Urss, a un esercito europeo. Sono passati 70 anni e quel progetto si ripropone oggi con urgenza. Fallita la Ced, Adenauer fu alla testa della costruzione di un’economia europea unitaria, prima con la Ceca, la comunità europea del carbone e dell’acciaio, poi col patto di Roma che fondò la Comunità Economica Europea, la Cee. Negli anni ‘60, il suo successore Ludwig Erhard, non solo fu il propugnatore e l’inventore della neoliberale “economia sociale di mercato”, che ha influenzato tutte le politiche economiche europee successive, non solo lavorò alacremente per allargare alla Gran Bretagna la Cee e contrastò su posizioni filoatlantiche la politica da grandeur militare di Charles de Gaulle, ma si schierò anche, fallendo, per la costituzione di una Forza Atomica Multilaterale proposta dagli Usa. Il cancelliere socialdemocratico Willi Brandt, già sindaco della Berlino del muro, trascinò la socialdemocrazia fuori dalle secche dell’ideologismo para-comunista e la collocò nell’ambito liberal con le tesi di Bad Godesberg, fece della sua ostpolitik il perno di una politica che trascinò tutta Europa nel segno della dura competizione, ma anche dell’appeasement col blocco sovietico e infine, schiantando in ginocchio, davanti al monumento dei caduti del ghetto di Varsavia, lui che aveva combattuto sempre, da clandestino, il nazismo, presentò il volto penitente di una nuova Germania.

Il socialdemocratico Helmuth Schmidt, a metà degli anni ‘70 propose, e impose, la strategia degli “euromissili”, visione militare e politica di una Europa che assume su di sé il peso della propria difesa dalle minacce dell’Urss. Inoltre, fondò nel 1978, insieme a Giscard d’Estaing, il Sistema Monetario Europeo, prodromo indispensabile alla nascita della moneta unica, l’euro. Il cristiano democratico Helmuth Kohl, indimenticabile nel cimitero dei caduti in Normandia mano nella mano con François Mitterrand, caduto il muro di Berlino, salvò l’Europa da una disastrosa fase di sommovimenti sociali nei paesi dell’est Europa imponendo la parità del marco federale con quello, disastrato, della fallita Germania Democratica, dopo avere unificato le due Germanie nonostante il forte parere contrario di Mitterrand, di Brandt, ma anche di Craxi e di Andreotti. Nulla, assolutamente nulla di paragonabile, quanto a visione del futuro e strategie alte continentali nei 16 anni di governo di Angela Merkel. Di fatto, la kanzlerin ha solo imposto alla Unione europea, con femminile ed elegante brutalità, la assoluta prevalenza degli interessi, innanzitutto economici, ma anche sociali e politici della Germania su quelli della Ue. Soprattutto, non ha mai enucleato una strategia, una visione unitaria dell’Unione proiettata nel futuro. Di conseguenza, ha sempre tenuto un profilo basso della Germania nei confronti di tutte le crisi che hanno sconvolto il Mediterraneo e l’Asia. Questo, quando non ha esercitato una politica che si potrebbe definire di sfruttamento neoimperiale, come nei confronti della crisi della Grecia.

Invece di riconoscere che il mostruoso debito pubblico di Atene derivava in buona parte dalle dissennate e speculative politiche dei crediti operate dalle banche tedesche e dalle mirabolanti e inutili forniture militari tedesche di tanks, sommergibili e sistemi d’arma per 68 miliardi di dollari (con tangenti mostruose), Angela Merkel è stata in prima linea a pretendere il recupero dei crediti tedeschi e a imporre alla Grecia una austerity che l’ha strozzata per un decennio. Un mix di cecità politica e di crudeltà sociale indimenticabile. Si continua con la crisi siriana. Qui, assoluto silenzio, nessuna riflessione di Angela Merkel sulle conseguenze politiche disastrose per il Mediterraneo orientale della guerra civile imposta da Beshar el Assad, ma preoccupazione solo e unicamente per il milione di profughi giunti dalla Mesopotamia in Germania. La sua risposta è nota: ha imposto alla Ue di versare 5 miliardi di dollari al governo di Tayyip Erdogan perché tenesse in Turchia la massa di profughi. Ma questa è la prova della sua miopia politica: quando la stessa invasione di immigrati irregolari o di richiedenti asilo politico si è riversata sull’Italia, sulla Spagna e sulla Grecia, Merkel ha voltato le spalle e si è ben guardata dall’impegnare la Germania nella indispensabile riforma del Trattato di Dublino e men che meno nell’obbligare la Ue a investire altrettanti miliardi per fare fronte alla crisi libica e dei paesi del Maghreb. Salvini e i sovranisti esteuropei sono debitori di buona parte del loro consenso elettorale a questo suo egocentrismo grande-tedesco. Non parliamo poi del ruolo di leadership che Angela Merkel, una volta tanto, ha accettato di svolgere nella crisi ucraina. Mediatrice dopo le proteste di piazza Maidan dell’accordo tra il filorusso Viktor Janukovich e l’opposizione per un governo di unità nazionale e nuove elezioni, la sua Germania ha subito dopo approvato di fatto un colpo di Stato che ha avuto la disastrosa conseguenza di una incontrollata guerra civile nel Donbass che dura tuttora, offrendo peraltro il destro a Vladimir Putin per la annessione incontrastata della Crimea. Ancora: sempre alla ricerca esclusiva degli interessi economici e geopolitici della sola Germania, Angela Merkel ha difeso e continua a difendere il gasdotto russo-tedesco North Stream (voluto dal suo predecessore Gerard Schroeder che in premio ne è stato nominato presidente da Vladimir Putin), che passa sotto il Baltico e non via terra, volutamente penalizzando in termini economici e di sviluppo i paesi dell’est Europa che ne sono così esclusi e sempre più convinti della strategia di Visegrad.

Concludiamo questa breve panoramica della cecità strategica europea di Angela Merkel ricordando il trattato commerciale tra Ue e Cina che ha imposto durante la sua presidenza della Ue nel 2020. Vantaggiosissimo per la Germania, ma non solo, questo trattato ha avuto una conseguenza politica disastrosa di cui in questi giorni tutta l’Europa paga le conseguenze. Unito alle politiche neogolliste di “terza via” della Francia nell’Indo-Pacifico, questo trattato ha infatti definitivamente convinto gli Stati Uniti della piena inaffidabilità politica dell’alleato europeo nei confronti delle sfide poste dalla Cina. Da qui la decisione dello schiaffo, meritato, alla Ue della alleanza militare nell’Indo-Pacifico degli Usa con la Gran Bretagna, premiata e giudicata affidabile proprio perché è uscita dalla Ue. L’inaffidabilità di un’Europa preoccupata solo di fare affari e ignava di fronte alle grandi sfide geopolitiche dell’immediato futuro: questo è il grave lascito sulla scena internazionale di Angela Merkel. Questo il peso sulle spalle del suo successore che verrà scelto dai tedeschi domenica prossima. Chiunque sia.

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Carlo Panella
Giornalista, scrittore, autore de “Il libro nero del Califfato”

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