Afghanistan, le donne libere: 'Abbiamo le ore contate'
Cronaca di Paolo Brera
Testata: La Repubblica
Data: 22/09/2021
Pagina: 16
Autore: Paolo Brera
Titolo: Le ragazze disperate in onda su Radio Bahr: 'Abbiamo le ore contate'
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 22/09/2021, a pag. 16, con il titolo "Le ragazze disperate in onda su Radio Bahr: 'Abbiamo le ore contate' ", la cronaca di Paolo Brera.

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Le ragazze chiamano con un filo di voce: «Salam, sono disperata… ». Jalalabad non conosce pace da trent’anni. Sana Noori e Basira Murad, 21 e 19 anni, sono la voce della speranza. «Ho solo 16 anni, papà e mamma mi hanno promessa in moglie a un adulto», si sfoga una ragazza ai microfoni di Radio Hamisha Bahr. «Mi fanno sposare uno che non mi piace, ci siamo antipatici, è così diverso da me! Ma non ho la forza di protestare, non posso neppure parlarne con mio padre». Mille storie terribili fioriscono nel giardino interno di questo piccolo hasram nascosto da una cancellata tra le pieghe di una città dolente, ferita dal terrorismo, insanguinata dall’Isis, atterrita dai talebani. Scalano l’antenna e da lì volano sopra le case, entrano nelle botteghe scalcinate e povere, tra i banchi dei mercatini. Jalalabad è costretta a sentire le voci delle donne. Gli studenti coranici ne hanno già uccise almeno due: «Rasia, che aveva 36 anni e faceva la poliziotta, l’hanno cercata, l’hanno trovata e le hanno sparato. E 14 giorni fa — raccontano Sana e Basira — hanno ucciso Jamila, che aveva lavorato al consolato del Pakistan».

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«Non ti preoccupare, parliamo noi con i tuoi — dice Sana alla promessa sposa — veniamo a casa, gli spieghiamo che sei piccola...». «No, per favore, se si viene a sapere che ho chiesto aiuto, i miei genitori mi uccideranno». Non sono iperboli. Sfidare le regole sociali è una condanna a morte. «Abbiamo seguito il caso di una ragazza che ha studiato con la complicità della madre — dice Basira — padre e fratelli non volevano perché il destino delle ragazze qui è sposarsi giovanissime e fare figli. Quando si è iscritta all’università, un cugino l’ha scoperta e le ha scritto una lettera: "Se continui ti uccido". Poi se l’è presa col padre, lo ha accusato di aver disonorato la famiglia e alla fine lo ha ammazzato». «Intorno alla radio — racconta il direttore, Atal Stanikzai — è nata una rete di coordinamento delle donne che ha centinaia di iscritte»; ma da quando i talebani hanno imposto con violenza le loro regole arcaiche e misogine, anche la voce di Basira e Sana si è affievolita. «Non riusciamo più a parlare di temi sociali, possiamo solo accennarli. Le ragazze ora sono terrorizzate, nessuna lavora, nessuna esce se non è accompagnata da un uomo; nessuna studia, pochissime hanno accesso a Internet perché la bolletta è troppo cara». Il tono delle chiamate è cambiato: «Ricette di cucina, piccoli problemi quotidiani. Non riusciamo più a intercettare storie come quella di Rube, anche se non siamo riuscite a aiutarla. Aveva 18 anni, era innamorata — racconta Basira — ma la famiglia non voleva. Quando si sono presentati a casa con uno sposo scelto da loro, Rube si è chiusa in cucina e si è uccisa». Dai villaggi abbarbicati sui monti; dai distretti mai controllati dal governo centrale in cui prospera l’estremismo islamista, per le donne soffia un vento gelido di condanna. Lunedì notte, dopo una giornata di attentati e fughe dai terroristi, Atal ci ha ospitati nella sua radio: «Dormite qui, è più sicuro che in albergo ». La radio è una comunità di resistenti. La vita è spartana, il cibo buonissimo, l’ospitalità deliziosa. La mattina, ecco Sana e Basira con le loro storie di disperazione. Nel giardino, sotto un sole instancabile, arriva anche Khatam Bibi. Ha 24 anni e la morte la insegue. «Ho partecipato a decine di proteste, difeso centinaia di donne. I talebani mi hanno mandato un messaggino: ti troviamo e ti uccidiamo. Non so come scappare, le ambasciate occidentali non mi hanno risposto». Non piange, non si dispera. Ma intorno a lei tutti sanno che ha le ore contate.

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