Afghanistan: violenza talebana
Cronaca di Lorenzo Cremonesi
Testata: Corriere della Sera
Data: 15/09/2021
Pagina: 17
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: Viaggio a Kandahar, dove c'è chi dice no alla violenza talebana
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 15/09/2021, a pag.17, con il titolo "Viaggio a Kandahar, dove c'è chi dice no alla violenza talebana", il commento di Lorenzo Cremonesi.

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Lorenzo Cremonesi


Kandahar residents fear Taliban advance on Afghan city | Conflict News | Al  Jazeera

I talebani hanno vinto con la forza militare. Ma scoprono giorno dopo giorno che governare e un mestiere difficile, specie in questo Afghanistan arricchito e abituato alle regole della democrazia importate nel ventennio di presenza della coalizione internazionale. Persino qui, a Kandahar, la loro capitale storica, la situazione per loro non è per nulla semplice. Sono bastate ventiquattro ore per scoprire una città arrabbiata, molto diversa da quella del dominio pashtun, così come negli anni Novanta l'aveva forgiato il Mullah Omar. Tra le aule dell'università chiusa i pochi studenti incontrati spiegano che vorrebbero scappare all'estero. Le ragazze parlano di «un Paese senza futuro». Gli imprenditori locali se ne sono già andati in massa. Un'ostetrica all'ospedale regionale dice che la sua specializzazione non varrà più nulla se conseguita nell'era del governo talebano. Occorre allora modificare le impressioni della prima sera. Ieri mattina verso le dieci ci ha sorpreso trovare un migliaio di uomini, arrabbiati, vociferanti, assiepati di fronte all'ufficio dei governatore sovrastato dalle bandiere bianche del Califfato. Protestano contro la decisione dei capi talebani di requisire le abitazioni governative affidate ai vecchi dipendenti municipali per passarle ai loro militanti. «Siamo centinaia di famiglie, oltre 4.000 persone in tutto. Ci hanno detto che abbiamo poche ore per traslocare. Dove andremo, cosa faremo?», spiegano da un gruppetto desideroso di farsi sentire. Un giornalista locale viene bastonato. I talebani non conoscono mezze misure. Inviano i loro miliziani giovanissimi armati di mitra, lo brandiscono come un manganello. Ogni tanto tolgono la sicura e puntano l'arma sulla gente. Alcuni anziani invitano tutti a sedersi a terra. Siamo ad un soffio dal bagno di sangue. Dopo circa un'ora però la situazione sembra calmarsi con la promessa di una trattativa. Ma pochi ci credono. «Verranno di notte, ci saranno arresti. I talebani non conoscono altra legge che quella della forza», dice Jawad Rashid, che fa il giornalista per una pubblicazione regionale. Il Mullah Ornar In cerca di chiarimenti andiamo a visitare quello che qui è chiamato Kerkha Sheriff, il mausoleo dello scialle del Profeta. Si trova in un'area sacra di moschee e scuole religiose dedicate ai Durrani, la dinastia pashtun che oltre tre secoli fa seppe unificare il Paese. Il 34enne Saied Habib Akhunzadá non è il semplice custode. La sua famiglia si tramanda questo compito di padre in figlio da oltre 370 anni. E felice di sottolineare che questo «è il terzo luogo santo dell'Islam dopo Mecca e Medina». Sebbene non avesse ancora compiuto i dieci anni, ricorda bene quel 4 aprile del i996, quando il Mullah Omar prese la reliquia e la mostrò alla folla d' giovani combattenti talebani in visibilio, dichiarandosi «Amir al Munimim», il comandante dei credenti. Però, oggi persino lui se la prende con i talebani. «Sono rozzi, ignoranti. Hanno bloccato l'accesso alle donne. La tradizione vuole che ogni giovedì mattina potessero venire a pregare al mausoleo. Gli uomini invece dal giovedì pomeriggio al venerdì sera. Ma loro no, sulla base di leggi assurde e ingiuste impongono divieti che servono solo a creare risentimento. Che senso ha vietare oltretutto l'eccesso delle donne ai parchi e alle palestre? Non capiscono che questo Paese non è più quello primitivo e obbediente di vent'anni fa?», sbotta senza paura.

Il mistero Baradar Pochi secondi dopo arriva Saltar Usman, un gigante dalle mani larghe e il turbante nero, che i talebani hanno messo a guardia di tutta l'area religiosa. Lo scortano due ragazzini armati di mitra americani ultimo modello. «Non abbiamo imposto alcun divieto alle donne. Noi talebani decidiamo il giusto», dice a bassa voce, quasi scocciato, con l'arroganza di chi non è abituato ad essere contraddetto. Akhunzada lo lascia andare via. Ma subito ci tiene a sottolineare. «Mentono. Promettono e non mantengono. Chiunque qui può confermare che le donne non possono più venire al mausoleo», replica. Quando gli chiediamo che fine abbiano fatto Abdul Ghani Baradar e Haibatullah Akhundzada, anche lui però impallidisce e preferisce non rispondere. Sono i due leader legati al fronte moderato di cui non si sa più nulla da qualche giorno e sui quali stanno crescendo inquietanti teorie. Sui social gira voce siano stati eliminati dai talebani duri legati al clan Haqqani e al governo pakistano. Pare siano stati visti proprio a Kandahar l'ultima volta. Ma neppure qui, nel sancta sanctorum della città, troviamo risposte precise.

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