L’Unione europea ha bisogno di un esercito, ma non può farlo funzionare
Analisi di Carlo Panella
(da Linkiesta.it)
«La difficoltà di collaborazione tra agenzie di intelligence a livello europeo deriva principalmente dalla mancanza di un comune spazio giuridico, perché i Servizi sono regolati in modo diverso nei diversi Stati. Questo intralcia pesantemente sia il coordinamento che una operatività comune, che a oggi non esistono, se non parzialmente, e comunque a un livello insoddisfacente». Alfredo Mantici, già alto responsabile del dipartimento Analisi del Sisde, poi dirigente dell’Aisi, certifica il fallimento pesante di un’Europa che a 20 anni dall’11 settembre – e con centinaia di vittime in decine di attentati sul suo suolo – non riesce neanche a dotarsi di una strategia e un’azione unitaria nel fondamentale ambito dell’intelligence.
Da questo ennesimo fallimento di indirizzo politico unitario dell’Unione europea è indispensabile partire per mettere coi piedi per terra il dibattito sulla Forza Armata europea, che si è imposto dopo la vergognosa caduta in mano talebana di Kabul – cioè l’evento che certifica la fine definitiva dell’ombrello securitario e militare che gli Stati Uniti hanno offerto all’Europa e all’Occidente da 1945 in poi. Preso atto di questo radicale cambiamento, molti leader europei hanno auspicato l’immediata costituzione di una Forza Armata europea autonoma che garantisca la sicurezza e le strategie di politica estera del vecchio continente. Josep Borrell ha proposto l’immediata costituzione di una Joint Entry Force, prima di 50mila, poi di 5mila armati. Proposta fatta propria con entusiasmo dal presidente Sergio Mattarella, da Marco Minniti, da Emma Bonino e da editorialisti come Angelo Panebianco. Ma il punto dolente è che non si vede assolutamente come questo esercito europeo, più che indispensabile, possa diventare una realtà. È giusto ricordare che l’Europa, dopo il fallimento della Convenzione del 2005, non ha una politica estera comune (Francia e Italia hanno letteralmente combattuto per anni su fronti opposti in Libia, per dirne una), non ha una politica fiscale comune, non ha una politica comune sulle ondate migratorie che vengono da Asia e Africa, cioè dai Paesi in crisi nei quali questo esercito europeo sarebbe probabilmente chiamato a intervenire, e infine non ha neanche politiche sanitarie e antipandemiche unitarie. Le uniche istituzioni europee centralizzate rigidamente e operanti riguardano la moneta, il mercato, le regole di bilancio, gli equilibri nelle esportazioni (regolarmente violate senza sanzioni dalla Germania) e la concorrenza. Non solo, siccome la storia pesa, è indispensabile ricordare che questa Unione europea, basata solo e unicamente sul terreno economico, nacque col Trattato di Roma che istituì la Comunità economica europea nel 1957. Era conseguenza del fallimento plateale nel 1954 del tentativo, promosso da De Gasperi, Guy Mollet e Adenauer, di costituire un Esercito comune europeo con la Comunità europea di difesa (fortemente appoggiata anche dagli Stati Uniti) che prevedeva ovviamente – questo era il punto focale – l’istituzione di una Comunità politica europea, quindi un governo politico unitario del vecchio continente. Il punto era dunque il rifiuto netto di un governo politico unitario dell’Europa, a partire dal fondamentale tema dell’esercizio della forza.
La questione, negli anni ‘50 come oggi, è di una semplicità quasi banale, ma dirimente: un esercito europeo è per definizione e obbligo una struttura rigidamente gerarchica che necessita di un forte comando unico e unitario. Il suo dispiegamento, le sue operazioni sul terreno, la sua dottrina, le sue regole di ingaggio, le sue strategie non possono essere decise con votazioni assembleari, né a maggioranza semplice né, men che meno, all’unanimità. Deve vigere una direzione politico-militare unica e riconosciuta da tutte le nazioni partecipanti. Il tutto, non va dimenticato, dopo che sono sostanzialmente falliti vari tentativi di unificazione europea delle Forze Armate come la Forza di Dispiegamento fuori teatro di 60mila armati ai Battle Group varati, senza seguito, nel 2007. Intanto l’Europa dei 27 funziona e continua a funzionare con la regola vincolante dell’unanimità, ragione prima del suo immobilismo e della sua profonda crisi politica. Ma se si operasse la svolta clamorosa di superare il vincolo unanimistico e si decidesse di costituire questa Forza Armata europea solo tra alcuni Paesi – come qualcuno propone, tra questi Marco Minniti, con una scelta saggia e più che condivisibile – si concretizzerebbe la fine dell’Unione europea così come la conosciamo. Si formalizzerebbe cioè una Europa a due velocità con un nucleo politicamente omogeneo (sostanzialmente quello dei Paesi fondatori più pochi satelliti) dotato della straordinaria forza di penetrazione e di azione della sua Armata, e una vasta area, con centro sui Paesi di Visegrad, di puro contorno, politicamente del tutto emarginata. Un terremoto politico dalle conseguenze imprevedibili che modificherebbe dalle fondamenta la stessa Unione e che porterebbe ad abolire la regola dell’unanimità su tutti i temi precostituendo la direzione politica dell’Europa di fatto affidata ai Paesi fondatori e a pochi loro satelliti. È questo un percorso auspicabile? È questo un cammino percorribile?
Carlo Panella
Giornalista, scrittore, autore de “Il libro nero del Califfato”
info@linkiesta.it