La libertà globale è in declino 05/04/2021
Analisi di Ben Cohen
Autore: Ben Cohen
Oggi, 5 aprile 2021, non escono i giornali. IC esce ugualmente, come fa ininterrottamente ogni giorno da aprile 2001 - 20 anni di informazione quotidiana su Israele, Medio Oriente, terrorismo islamico - con una importante analisi di Ben Cohen. Eccola:

La libertà globale è in declino
Analisi di Ben Cohen

(traduzione di Yehudit Weisz)

La Pasqua ebraica è una celebrazione di libertà, ma la sua storia è un richiamo salutare a ricordarci che la libertà è una cosa fragile e che per raggiungerla sono spesso richiesti sacrifici straordinari. Quindi mi sembra giusto, nel momento in cui gli ebrei meditano sul significato più ampio dell'esodo dall'Egitto, esaminare come stia andando la causa della libertà umana nel mondo di oggi.
La risposta, purtroppo, è che la libertà - i nostri diritti fondamentali di parlare e scrivere senza censura, di seguire il nostro credo religioso, di votare per i nostri leader, di vivere sotto la protezione dello Stato di diritto - è in una situazione piuttosto triste. Il rapporto sulla Libertà nel Mondo del 2021, recentemente pubblicata dall’ ONG statunitense Freedom House, riflette questa immagine in tutta la sua crudezza.
Il 2020 è stato il quindicesimo anno consecutivo in cui Freedom House, originariamente fondata nel 1941 per promuovere la partecipazione americana alla lotta contro il fascismo, ha registrato un declino della libertà globale. “La lunga recessione democratica si sta aggravando”, avverte il suo nuovo rapporto. Solo un cittadino su cinque nel mondo vive in un Paese che può essere definito come “Libero”( contrapposto al “Parzialmente libero” o al “Non libero”), e cioè in società gestite da governi democraticamente eletti e responsabili, in cui sono garantiti i diritti civili e politici fondamentali. 

Freedom House - Wikipedia

Quasi il 75 per cento della popolazione mondiale vive in un Paese che l'anno scorso ha subito un deterioramento della libertà. In diversi Paesi dove i cittadini sono scesi in piazza in gran numero per chiedere diritti democratici, come il Venezuela e la Bielorussia, le libertà civili sono diminuite ulteriormente, fino alle conseguenze più atroci. Cina e Russia, in questo momento  le due grandi potenze nemiche della libertà nel mondo, hanno avuto enormi benefici da questi capovolgimenti, così come dalla più profonda crisi di fede che ha afflitto molti cittadini delle democrazie negli Stati Uniti, nell'Unione Europea, in Australia e in altre nazioni libere negli ultimi anni.  ”Stanno entrambe incoraggiando il crollo della democrazia e l’aggravano mettendosi contro i gruppi e gli individui coraggiosi che si sono proposti di rimediare al danno”, sottolinea il rapporto Freedom House. Nel frattempo, gli autocrati hanno una serie di strumenti a loro disposizione per cementare il loro governo. Negli ultimi anni il numero degli arresti di massa e d'incarcerazione è notevolmente aumentato; nella sola Cina, più di 1 milione di Uiguri sono stati imprigionati nei campi di detenzione come parte della campagna genocida di Pechino per cancellare l'identità nazionale e culturale della sua minoranza musulmana nel suo Nord-Ovest.  Anche la Turchia, l'Egitto e la Russia hanno assistito a una crescita esplosiva del numero di prigionieri politici nell'ultimo decennio. C'è anche la diffusione deliberata della disinformazione, sia in patria che sempre più al pubblico nelle democrazie occidentali, la crescente raffinatezza delle tecniche di sorveglianza e, nell'ultimo anno, il vantaggio tattico fornito dalla pandemia del COVID-19 e dal suo obbligo di distanziamento sociale, il che significa che le persone normalmente in contatto regolare sono state fisicamente isolate l'una dall'altra in una misura senza precedenti. 

Nell'ultima analisi di Freedom House c'è poco da rallegrarsi, sia a livello regionale, sia a livello globale.  In Medio Oriente, nonostante un anno di trasformazione diplomatica che ha visto Israele firmare trattati di normalizzazione con gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Sudan e il Marocco, la mappa della libertà ( https://freedomhouse.org/explore-the-map?type=fiw&year=2021) è rimasta tristemente familiare. Di tutti gli Stati di quella regione, solo Israele è incluso nella comunità delle nazioni veramente “libere”. Il vicino Libano riesce quasi a mantenere lo status di “Parzialmente libero”, mentre tutti gli altri Paesi sono palesemente “Non liberi”.

Nella graduatoria di 100 punti elaborata da Freedom House per classificare  la libertà globale, Israele ha ottenuto 76 punti. I suoi nemici nel vicinato - Iran, Qatar e Turchia - hanno ottenuto rispettivamente 16, 25 e 32 punti. Ma per quanto enormi siano queste differenze, i nuovi alleati di Israele nella regione si sono classificati in gran parte ancora più in basso. Gli Emirati Arabi Uniti hanno ottenuto 17 punti su 100, così come il Sudan, mentre il Bahrain ha ottenuto 12 punti (il Marocco è più alto con 37). L'Arabia Saudita, che prima o poi probabilmente firmerà un trattato di pace con Israele, ha segnato un misero sette. Sia chiaro, questi punteggi sono meritati. Che abbiano firmato o meno trattati di pace con Israele, la violazione sistemica dei diritti dell’individuo e dei gruppi è radicata nella pratica dei regimi in tutto il Medio Oriente. A Teheran come a Riyadh, le idee avanzate di libertà che consideriamo più o meno consolidate in Occidente - il diritto di parlare con franchezza e in modo oltraggioso, l'indipendenza delle famiglie e delle comunità dall'ingerenza dello Stato, il diritto di amare un’altra persona per nostra scelta - sono visti come minacce esistenziali che devono essere schiacciate con tutta la forza dello Stato.

Nella tradizione ebraica, mentre l'autorità politica è presentata come qualcosa da rispettare, la concentrazione del potere politico dovrebbe essere limitata e coloro che lo esercitano dovrebbero essere responsabili di fronte alla legge. Solo in questo modo una società può iniziare a essere considerata equa o giusta. Eppure molti ebrei, specialmente in Israele, tendono al realismo politico nella loro visione del mondo esterno: il sottolineare le pratiche tiranniche di altri Paesi, specialmente se questi Paesi sono amici acquisiti di recente, non si adatta bene a questa prospettiva. A mio avviso, un simile approccio è miope. Tanto per cominciare, i Paesi in cui il potere è radicato nell'autorità legittima, tendono ad essere più stabili e prevedibili di quelli governati da un singolo partito o da un comitato di chierici. In questo senso, Israele ha molto da guadagnare dai suoi vicini che adottano riforme democratiche. Per quanto remota possa essere attualmente questa possibilità, qualsiasi segno di vita dovrebbe essere incoraggiato, in particolare su questioni come la responsabilità giudiziaria, lo status personale e la libertà religiosa. Ciò che l'ultimo rapporto di Freedom House dimostra senza ombra di dubbio, è che nell’immediato, le peggiori crisi mondiali dei diritti umani non sono la priorità nemmeno per coloro la cui responsabilità è quella di proteggere i cittadini dagli eccessi dei loro capi supremi.

Le Nazioni Unite continuano ad essere un forum in cui c’è un enorme numero di opportunità per censurare Israele in comitati, conferenze, dibattiti e simili, ma ce ne sono molto meno quando si tratta di censurare la Cina, la Corea del Nord o l'Etiopia. Se vogliamo affermare con efficacia che le Istituzioni Internazionali adottano un doppio standard quando si occupano dei presunti abusi di Israele, per questo motivo allora è imperativo che la comunità ebraica difenda quelle cause che cadono nel dimenticatoio.

Ben Cohen Writer - JNS.org
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate