Il successo di Trump nel Medio Oriente: rifiuto della guerra e politica di riappacificazione 27/10/2020
Analisi di Antonio Donno
Autore: Antonio Donno
Il successo di Trump nel Medio Oriente: rifiuto della guerra e politica di riappacificazione
Analisi di Antonio Donno


Donald Trump, Joe Biden

Con l’adesione del Sudan al contenuto degli Accordi di Abramo un altro importante tassello si è aggiunto al piano di pace di Trump. Seguiranno sicuramente altri paesi arabi a costituire il cordone sanitario intorno all’Iran sciita. In tutto ciò un ruolo fondamentale è stato svolto dall’Arabia Saudita, che già da tempo si è posta come il principale interlocutore tra il mondo arabo sunnita e Israele. In questo modo, il progetto di Donald Trump si avvia a concludersi con un esito rivoluzionario per il Medio Oriente. Due sono le chiavi del successo di Trump: la politica e la rinuncia alla guerra. Due concetti che nella storia si sono associati soltanto quando le parti in conflitto hanno rinunciato al confronto bellico e hanno fatto prevalere l’accordo politico sullo scontro armato. Esito che si è verificato non di frequente. Seguiamo il percorso che nei quattro anni di presidenza ha portato il presidente americano ad avere un ruolo fondamentale nella storia del Medio Oriente dopo la fine del secondo conflitto, un ruolo che nessun presidente americano è stato in grado di ricoprire con successo. Quando Trump entrò nella Casa Bianca, si trovò di fronte alla questione dell’Afghanistan e all’impegno di un gran numero di truppe americane in quel paese. Egli si pose questa domanda: che ci stiamo a fare lì? A buttar soldi e sprecare vite umane? Decise di richiamare in patria, gradualmente, i soldati americani, di fare in modo che le due parti in conflitto (governo afghano e talebani) cominciassero a negoziare e, in fin dei conti, a liberarsi del problema e, come disse Dante, “lascia pur grattar dov’è la rogna” (Paradiso, canto XVII). Nello stesso tempo, ha anche mantenuto nel cuore arabo della regione la presenza americana, per quanto di limitata entità, solo per interventi della massima urgenza, come la liquidazione del capo-terrorista iraniano, Qassem Soleimani, cui farà seguito, se necessario, quella del suo successore, Esmail Ghaani. Oppure, per distruggere alcune carovane di armi dirette da Teheran agli Hezbollah.

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Militari americani in Afghanistan

A tale ridotta presenza delle truppe americane si è associata un’attività politica molto intensa presso il mondo arabo sunnita. In questo modo, Trump ha voluto dimostrare che gli Stati Uniti rinunciano all’uso delle armi in una regione da sempre attraversata da conflitti molto aspri, perché ritengono che sia giunto il momento di svolgere un’azione di pacificazione generale, associata ad un impegno economico tale da sostituire la prosperità alla miseria dovuta alla guerra, il benessere dei popoli della regione alla loro condizione di sudditi privi di qualsiasi diritto. Ma, prima di tutto, occorreva mettere il regime di Teheran con le spalle al muro. Da questa consapevolezza è nato il rovesciamento dell’accordo di Obama con il regime degli ayatollah e il ritiro americano da quelle intese, l’applicazione di sempre più severe misure economiche contro l’Iran, l’isolamento internazionale del regime teocratico di Teheran. Contemporaneamente a queste misure drastiche contro l’Iran – misure che hanno avuto il merito di tranquillizzare il mondo arabo sunnita contro le ambizioni egemoniche di Teheran nel cuore del Medio Oriente – Trump ha agito in modo sempre più incisivo nei confronti del governi di quegli Stati, anche grazie alla straordinaria attività di Mike Pompeo, Segretario di Stato, con una serie di trattative a tutto campo, comprendenti questioni politiche ed economiche che hanno progressivamente creato un clima di comprensione tra le parti e nelle quali la presenza di Israele si è dimostrata di vitale importanza per la loro comune realizzazione. La strettissima collaborazione tra Trump e Netanyahu ha consolidato una linea di condotta politica unitaria che rappresenta una novità straordinaria nelle relazioni israelo-americane, perché ha saputo cogliere un momento topico nella storia del Medio Oriente ed elaborare una comune iniziativa politica a larghissimo raggio nella regione. I frutti di tale politica sono evidenti e le prospettive ancora più positive.

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