Ladri di libri
Recensione di Diego Gabutti
Anders Rydell, Ladri di libri. Il saccheggio nazista delle biblioteche d’Europa, Centauria, pp. 448, 18,00 euro
Dopo la vittoria alle elezioni, e fino allo scoppio della guerra totale, la politica culturale dei nazisti fu quella avviata la notte del 10 maggio 1933: i Bücherverbrennungen – i roghi (e anzi l’Auschwitz) dei libri «contrari allo spirito tedesco». Quella notte, nelle principali città tedesche, da Berlino a Norimberga, si alzarono roghi alimentati dalle opere di Thomas Mann, Hemingway, Brecht, Marx, Karl Kraus e Walter Benjamin, Stefan Zweig, Jack London. Come racconta Anders Rydell, scrittore e giornalista svedese, in Ladri di libri. Il saccheggio nazista delle biblioteche d’Europa, fu una specie di rito vichingo: «No al degrado morale, sì alla disciplina e alla moralità nelle famiglie e nello Stato! Consegno alle fiamme gli scritti di Heinrich Mann ed Erich Kästner. No alla sopravvalutazione della vita pulsionale, che rode l’anima; sì alla nobiltà dello spirito umano! Consegno alle fiamme gli scritti di Sigmund Freud».
Ci fu un «prima» e «dopo» Weimar. Da un giorno all’altro la repubblica en travesti del cinema espressionista, la Germania sbandata e permissiva del cabaret e del «teatro dialettico» di Bertolt Brecht, fu travolta e calpestata dal Reich bigotto e wagneriano dei mostri, delle chimere e dei serial killer usciti dai film espressionisti – come l’avventuriero hollywoodiano nella Rosa purpurea del Cairo di Woody Allen – per materializzarsi in platea, nel mondo reale. Ogni traccia di Zivilisation, d’umanesimo e di ragione illuminista, svanì in una fiammata insieme alle biblioteche pubbliche e private che le truppe d’assalto nazionalsocialiste incenerirono in nome della Kultur, cioè del sacro e della trascendenza. Questo nel 1933, quando Hitler e i suoi antipolitici presero il potere a Berlino. Sei anni più tardi la Wermacht occupò mezza Europa e le SS, invece di bruciarli come nella notte dei roghi, cominciarono a rubare i libri, ad ammassarli in enormi depositi. È la storia straordinaria che racconta Rydell. Parallela alla caccia alle opere d’arte, vi fu la caccia ai libri da parte di Heinrich Himmler, Reichsführer delle SS, e dell’ideologo Alfred Rosenberg. Prede di guerra, le biblioteche furono caricate su vagoni merci nelle stazioni di Varsavia, Amsterdam, Parigi, Vilnius, Kiev e Roma per essere trasferite in Germania, a disposizione della razza padrona. Presero la via dei depositi nazisti centinaia di «casse di materiali archivistici appartenuti «all’Istituto di storia sociale di Amsterdam»; da Parigi sparirono i «circa 100.000 volumi» della Bibliothèque russe Tourguéniev, fondata ottant’anni prima dall’internazionalista German Aleksandrovič Lopatin, primo traduttore del Capitale in russo. Fu razziata «la biblioteca ebraica dell’Istituto francofortese per gli studi sulla questione ebraica», che disponeva d’un fondo «di oltre mezzo milione di volumi».
Esoterista fanatico, Himmler stipò nel suo quartier generale berlinese «un’immensa biblioteca» specializzata in «magia, occultismo, spiritismo» (e «pornografia»). A Roma fu saccheggiata la Biblioteca Ebraica; e così via, una biblioteca europea dopo l’altra. Che fine hanno fatto tutti questi libri? Molti sono finiti sotto le bombe, altri furono semplicemente «annientati» per rappresaglia. Si calcola che solo «in Ucraina furono distrutti ben 50 milioni di libri». Alcuni volumi, pochissimi, furono recuperati e restituiti alla fine della guerra, ma la gran parte dei titoli sopravvissuti finì negli scaffali delle biblioteche pubbliche russe e tedesche, dove sono rimasti. Oggi qualche giovane bibliotecario (aiutandosi con gli «ex libris», i pochi risparmiati dalle sforbiciate dei loro colleghi più anziani) riesce a restituire cinque o sei libri ogni anno alle biblioteche depredate e ai discendenti degli assassinati nei campi.
Diego Gabutti