A proposito dell’articolo di Robert D. Kaplan sulla Repubblica di ieri
Analisi di Antonio Donno
Benjamin Netanyahu, Donald Trump
L’articolo di Robert D. Kaplan, docente presso il Foreign Policy Research Institute di Philadelphia, pubblicato ieri su “la Repubblica”, analizza il nuovo assetto che si va delineando nel Medio Oriente. Tale assetto è stato più volte preso in considerazione nei numerosi articoli apparsi su “Informazione Corretta”, a firma del sottoscritto. Tuttavia, alcuni passaggi del contributo di Kaplan devono essere valutati con maggiore attenzione. Innanzitutto, la situazione attuale dell’Iran e del suo regime. Scrive Kaplan: “Il regime dell’Ayatollah Ali Khamenei rappresenta una teocrazia radicale decisamente più impopolare in patria di quanto Erdogan non lo sia in Turchia”. E, di conseguenza, continua lo studioso americano, l’Iran potrebbe avviarsi verso “un sovvertimento politico”. Quest’affermazione va soppesata alla luce di una più vasta considerazione dei fattori interni ed esterni che caratterizzano oggi il Medio Oriente. Il fattore interno più evidente consiste nella presa del regime sulla popolazione iraniana.
Robert D. Kaplan
Mentre nelle città più importanti e culturalmente più moderne la gente, soprattutto i giovani, detestano un regime arretrato e violento qual è quello che è erede della rivoluzione khomeinista, nella provincia, in particolare quella più profonda, nonostante le condizioni di vita difficili, il popolo è legato ancora al conservatorismo religioso della teocrazia al potere e tende a considerare i giovani contestatori delle città come un pericolo per la sopravvivenza del potere di Khamenei. A tutto ciò si deve aggiungere la forza repressiva della polizia e delle milizie che controllano la vita sociale degli iraniani. Insomma, l’aggravamento della situazione politica, acutizzata dalle sempre più precarie condizioni economiche, potrebbe portare ad un sovvertimento politico, come dice Kaplan, oppure ad un drammatico, violento rafforzamento del potere teocratico di Teheran. Ciò che si è detto in precedenza conferma ciò che scrive Kaplan nella parte finale del suo articolo: “Nei prossimi anni, a poter imprimere all’intera regione un vero cambiamento saranno le dinamiche interne all’Iran”. Queste dinamiche avranno un ruolo cruciale, soprattutto “all’indomani della nuova alleanza tra Israele e Paesi del Golfo arabo”, ma soltanto se l’inevitabile conflitto sociale e politico interno non determinerà un rafforzamento violento del potere teocratico di Teheran. Il fattore esterno rappresenta un’incognita geo-politica in via di definizione. Si tratta della Cina comunista. Come ormai si scrive da più parti, l’interesse economico di Pechino punta ad aprire un corridoio economico, e di conseguenza politico, che, attraversando l’Asia Centrale, possa condurre sulle sponde del Mediterraneo Orientale. Pur non avendo affacci costieri in quella parte del Mediterraneo, l’Iran può rappresentare, attraverso l’Iraq e il Libano, dove gli Hezbollah filo-iraniani sono fortemente presenti, un passaggio decisivo per il Mediterraneo. Che cosa vorrà in cambio il potere iraniano dalla Cina, se non un sostanziale sostegno economico per uscire dalla crisi e poter far fronte alla contestazione interna? La Cina, dunque, rappresenta oggi un fattore decisivo che potrà alterare l’assetto che si va delineando nel Medio Oriente, a tutto svantaggio delle tendenze innovatrici presenti nel paese. Giustamente, Kaplan sottolinea che gli Stati Uniti non dovranno ritirarsi dal Medio Oriente, parte fondamentale dell’Eurasia. Ma la politica di Trump è stata tutt’altro che una ritirata americana da quella regione. Lo è stata quella di Obama, ad essere precisi. Le pesanti sanzioni contro l’Iran e gli esiti assai positivi della politica di Trump e di Netanyahu verso il mondo sunnita, politica che ha portato ad un sostanziale riavvicinamento di Gerusalemme alle capitali arabe, stanno a dimostrare che il Medio Oriente è stato al centro degli interessi strategici americani, delineando uno scenario del tutto nuovo rispetto al passato della regione. in “World Order” così ha scritto Henry Kissinger: “Molto dipende dalla capacità, dall’abilità e dalla volontà degli Stati Uniti di contribuire a definire un esito che soddisfi gli interessi americani e che l’Arabia Saudita e i suoi alleati considerino compatibile con la loro sicurezza e i loro principi”. È accaduto proprio questo; anzi, molto di più.
Antonio Donno