'Verso casa', di Assaf Imbari 01/10/2020
Recensione di Giorgia Greco
Autore: Giorgia Greco
Verso casa
Assaf Imbari
Traduzione di Rosanella Volponi e Shulim Vogelmann
Giuntina euro 18

Verso casa di Assaf Inbari. Recensione - Linkiesta.it

Un modello sociale non solo organizzativo, ma anche un’esperienza totalizzante capace di intendere in modo nuovo la vita e le relazioni sociali e dare sostanza a un “ebreo nuovo” lontano dall’immagine dell’ebreo diasporico. Questo ha rappresentato il kibbutz, parola ebraica che indica “assemblea” “nel senso di condivisione, di reciprocità, di responsabilità e di un’idea di comunità non più derivante dal gruppo territoriale di appartenenza, ma piuttosto da un’inedita coscienza di sé e degli altri”. All’interno di una cornice dove il produrre, il discutere, il decidere insieme rappresentano il fulcro idealistico, morale e politico dell’individuo, il kibbutz è diventato il simbolo di un’epoca, quella antecedente alla formazione dello stato d’Israele.

Alla grande epopea del kibbutz e alla sua evoluzione negli anni, che ha portato con l’apertura alla modernità all’affievolirsi dell’ideologia originaria, è dedicato il romanzo Verso casa (Giuntina) in cui l’autore, Assaf Inbari, racconta la storia di un gruppo di giovani pionieri permeati dagli ideali marxisti e catturati dal sionismo che abbandonano l’Unione Sovietica per raggiungere la Palestina sotto mandato britannico e fondare il kibbutz Beth Afikim (il nome deriva dalla posizione fra due corsi d’acqua), dove l’autore è nato e ha trascorso i primi vent’anni della sua vita. Lassia, Clara, Leo, Mirya, Lonya, Zvi sono un gruppo composito di giovani visionari, accomunati dal desiderio di dar vita a una società più giusta e disposti per realizzare questo ideale ad organizzare le loro giornate secondo rigide regole comunitarie che non lasciano spazio, almeno agli inizi, a momenti di libertà individuale. Tutto deve essere condiviso: il lavoro nei campi per forgiare l’”ebreo nuovo”, i vestiti, le scarpe e persino le lettere e le foto inviate dalle famiglie rimaste in Russia venivano rese pubbliche perché “in una famiglia non ci sono segreti”. Niente crema idratante o rossetto per le donne e qualsiasi vezzo per rendere più accogliente la propria “tenda” era guardato con diffidenza. Con l’arrivo di nuovi pionieri il kibbutz si amplia, si costruiscono case, fabbriche, scuole e persino una sinagoga mettendo quasi a rischio “la laicità” del kibbutz e nel contempo l’epopea di questi sognatori comincia a scontrarsi con i cambiamenti della realtà e del quadro storico e politico della Palestina: arrivano i sopravvissuti alla Shoah, nasce lo Stato d’Israele, il mondo arabo intraprende una serie di guerre contro lo Stato ebraico e la proprietà privata si insinua nel tessuto sociale.

L’autore racconta, senza apparente coinvolgimento e con un registro che lascia spazio all’ironia, di pionieri coraggiosi, uomini e donne con i loro difetti, della tenacia con cui hanno realizzato il progetto organizzativo di una comunità socialista ma anche di sogni infranti e della inevitabile crisi degli ideali collettivi. Quell’esperienza totalizzante improntata all’unione di sionismo e socialismo per dar vita all’”ebreo nuovo” non ha retto al vento impetuoso della modernità, alla seduzione del benessere e all’irrompere della privatizzazione. Tuttavia non è una storia di sconfitte perché ciò che hanno realizzato o anche solo reso possibile come “la profonda trasformazione dell’anima d’Israele” merita rispetto e stima. Non si può terminare questa riflessione sul libro di Assaf Imbari senza ricordare due classici imperdibili della letteratura ebraica che ci riportano alle eroiche imprese delle colonie ebraiche palestinesi nei primi anni del Novecento: “Il canto della valle” di Sholem Asch (1949, Mondadori, Coll. Medusa) ancora reperibile in rete e “Ladri nella notte” di Arthur Koestler recentemente ripubblicato dalla casa editrice Tiqqun. Pubblicati negli anni Quaranta i libri di Asch e Koestler non arrivano a raccontare la trasformazione del modello organizzativo del kibbutz ma sono la fotografia di una terra e lo specchio dell’anima di giovani pionieri coraggiosi. Ne “Il canto della valle” Asch descrive la riconquista di una terra abbandonata da secoli, i dubbi, le speranze, e lo spirito collettivo che anima un gruppo di giovani in una lotta quotidiana per non soccombere, dove momenti di alta tensione come l’assalto dei beduini o la tempesta che sconvolge l’accampamento si stemperano nelle piccole conquiste quotidiane: la traversata di una palude e lo sbocciare di una tenera storia d’amore.

Anche nel romanzo di Koestler, appassionato sionista che visse in Israele prima della nascita dello Stato, c’è un manipolo di immigrati dall’Europa ancora adolescenti decisi a fondare un kibbutz e per conseguire lo scopo sono disposti a qualunque sacrificio: dal duro lavoro di dissodamento del terreno sotto il sole cocente alla strenua difesa di quegli appezzamenti: in una mano la vanga, nell’altra il fucile. Il titolo ” Ladri nella notte” fa riferimento a quella legge imposta dalle autorità del mandato britannico che vietava la distruzione di case e insediamenti provvisti di tetto. Ecco perché i pionieri lavoravano di notte, come ladri appunto, per dar vita alla torre di Esdra in Galilea. Tre romanzi bellissimi che fotografano un momento storico lontano con riflessi ancora attuali e una generazione di giovani che ha lottato per realizzare i suoi ideali contribuendo alla nascita dello Stato di Israele.


Giorgia Greco