Le responsabilità politiche della violenza negli Stati Uniti
Commento di Antonio Donno
A destra: Donald Trump, Joe Biden
L’uso indecente della figura e dell’opera del reverendo Martin Luther King, Jr., nelle recenti manifestazioni succedute alla morte di George Floyd, dimostra come l’opposizione al presidente Trump stia compiendo una svolta verso la violenza che proprio King detestava perché la considerava profondamente controproducente per le aspettative e le speranze dei neri americani. I neri americani – sosteneva King – erano americani e dovevano sentirsi orgogliosi di essere americani. Malcolm X e il Black Panther Party pensavano, invece, che la violenza fosse l’unica arma nelle mani dei neri americani per ottenere una vera uguaglianza, ma la storia ha dimostrato che la violenza produce violenza e, infine, un terribile peggioramento della convivenza sociale. Il razzismo è una condizione endemica di alcuni settori minoritari della società americana, soprattutto negli Stati del Sud, e la crudele uccisione di Floyd ne è stata una manifestazione eclatante. Ma ciò ha innescato una risposta che ha superato ampiamente i confini della protesta per connotarsi nelle forme di una risposta violenta da parte dei neri e degli estremisti bianchi di sinistra. Queste violenze hanno un significato che va ben al di là della morte di Floyd e devono essere ricondotte al clima di opposizione nei confronti della presidenza di Trump. Insomma, la morte di Floyd ha dato vita sia ad un grande movimento di protesta pacifica di neri e bianchi, che avrebbe ricevuto il plauso di King, sia, contemporaneamente, anche alla diffusione di gruppi eversivi, anch’essi formati da neri e bianchi, che hanno prodotto violenza, saccheggi e distruzioni in molte parti degli Stati Uniti, anche nei confronti degli stessi neri. Queste violenza hanno un significato che investe lo scenario politico americano ai livelli più alti. Fin dai primi tempi della presidenza Obama, il Partito Democratico ha intrapreso un nuovo corso in cui la voce della minoranza islamica presente negli Stati Uniti si è fatta sentire in modo sempre più pressante.
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La presa di distanza del governo di Obama da Israele ne è stata la manifestazione più evidente a livello internazionale. Ma l’accordo con l’Iran sul nucleare è stato, nello stesso tempo, un segno della disponibilità americana a lasciare mano libera al regime di Teheran nello scenario mediorientale. La posizione di Israele si è fatta sempre più difficile man mano che la libertà d’azione concessa dagli Stati Uniti agli ayatollah ha finito per circondare lo Stato ebraico di milizie terroristiche (gli Hezbollah) sempre più minacciose ai suoi confini. Nello stesso tempo, l’influenza della sinistra si faceva sempre più evidente all’interno del Partito Democratico e, in essa, della componente islamica e di altre minoranze. Il tradizionale moderatismo centrista del Partito veniva sostituito da posizioni di sinistra e, durante la presidenza Trump, esse hanno dato vita ad un’opposizione senza quartiere e sempre più aggressiva a livello sociale. Questo nuovo clima è esploso in occasione dell’uccisione di George Floyd. Come si è detto, accanto alle manifestazioni pacifiche di protesta, si è scatenata una violenza da parte di gruppi eversivi neri e bianchi, violenza che, prendendo a pretesto la morte di Floyd, si è diffusa in molte parti degli Stati Uniti. Lo scivolamento a sinistra del Partito Democratico, dovuto all’azione di Obama, ha fornito alla parte più eversiva della protesta giovanile l’occasione di sfruttare in pieno la circostanza dell’uccisione di Floyd per dare sfogo ad una violenza che non si vedeva sin dagli anni sessanta, cui si è contrapposta una risposta altrettanto violenta da parte di gruppi di estrema destra. La situazione sociale americana si è, dunque, aggravata, ma il clima di odio che è andato sviluppandosi contro l’Amministrazione Trump è l’esito di una radicalizzazione dello scontro politico che è stata favorita dalla crescente influenza di posizioni di sinistra in seno al Partito Democratico. Quando le circostanze si sono rese favorevoli, l’estremismo anti-trumpiano si è scatenato, mettendo in difficoltà la posizione dello stesso rivale di Trump, il democratico Joe Biden. Benché il vantaggio di quest’ultimo sia ancora molto netto, i prossimi due mesi potranno dare una visione più chiara del confronto elettorale in corso.
Antonio Donno