A proposito, cos’è successo ai rifugiati ebrei dei paesi arabi? 10/12/2019
Commento di Michelle Mazel
Autore: Zvi Mazel/Michelle Mazel
A proposito, cos’è successo ai rifugiati ebrei dei paesi arabi?
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
A destra: una scuola dell'Unrwa a Gaza, trasformata in deposito di missili da Hamas
Questa è una storia molto vecchia e molti l'hanno dimenticata: si è svolta quasi tre quarti di secolo fa, pensate! Il 14 maggio 1948, David Ben Gurion, dichiarando "Il popolo ebraico ha il diritto di avere il proprio Paese", proclamava l'indipendenza di Israele. Quella stessa sera gli Stati Uniti riconobbero il nuovo Stato, seguiti a breve da molti Paesi tra cui l'Iran, quello dello Scià ovviamente. Pochi giorni dopo, gli eserciti di Egitto, Transgiordania, Siria, Libano e persino quello dell’Iraq invasero il giovane Stato per distruggerlo, dopo aver incoraggiato le popolazioni arabe locali a fuggire per lasciar loro il campo libero e aver promesso che loro sarebbero potuti tornare una volta ottenuta la vittoria. Ma la vittoria non arrivò , e quando furono firmati gli accordi di cessate il fuoco nel luglio del 1949, quasi 700.000 arabi avevano lasciato le loro case per cercare rifugio nei Paesi vicini, i quali si affrettarono a relegarli nei campi profughi. Frustrati e umiliati dalla sconfitta loro inflitta da uno Stato ebraico, i Paesi arabi allora si vendicarono sui propri cittadini ebrei, che vivevano sulle loro terre da secoli. Seguirono pogrom, massacri, torture, incarcerazioni ed espropri, costringendo circa 850.000 ebrei ad intraprendere il viaggio dell’esilio, in gran parte con solo gli abiti che indossavano. Alcuni vennero a cercare rifugio in Israele, già piegato sotto l'afflusso dei sopravvissuti allo sterminio degli ebrei d'Europa. Altri andarono a cercare fortuna in altri Paesi.
Chi se ne ricorda? Oggi li cercheremmo invano in un qualche campo profughi. Costretti ad apprendere nuove lingue e ad adattarsi a nuove società, hanno ricostruito le loro vite con l'aiuto dello Stato di Israele per coloro che vi si stabilirono, o delle comunità ebraiche locali nei loro Paesi ospitanti, serbando nel cuore il doloroso ricordo del Paese che li aveva respinti e che li aveva spogliati delle loro proprietà. E i palestinesi, vi chiederete? Quelli che avevano cercato aiuto dai vicini con cui condividono lingua, storia, religione e spesso legami familiari? Quelli sono chiaramente visibili. Hanno beneficiato della sollecitudine delle Nazioni Unite, che nel 1950 ha creato per loro l'UNRWA, l'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente. Grazie alle cure ricevute e alle centinaia di miliardi di dollari versati dalla comunità internazionale, oggi sarebbero più di cinque milioni. Va precisato che il termine di “rifugiato palestinese” è stato esteso ai figli e ai nipoti dei rifugiati originari, nonché, come si legge sul sito dell'organizzazione, a coloro che sono stati adottati da questi ultimi. Paradossalmente, questa cifra sorprendente e a cui bisogna prestare attenzione, mostra l'entità del fallimento dell'UNRWA. A settant'anni dalla sua creazione, e nonostante le favolose somme destinate alla loro rieducazione e integrazione, più di un terzo dei rifugiati vivrebbe ancora in campi situati nei Paesi arabi vicini e fratelli che non hanno saputo, potuto o voluto integrarli. Gli altri dipendono ancora da questo organismo. Per quanto riguarda i rifugiati ebrei dei Paesi arabi, reclamano invano riconoscimento e risarcimento. Anche quest'anno Israele si rivolge nuovamente alle Nazioni Unite per far sentire la loro voce. Vorremmo credere che l'Assemblea Generale di questa augusta istituzione darà loro finalmente giustizia.
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".