Robert Harris - L'ufficiale e la spia - 27/12/2019
Autore: Giorgia Greco & Angelo Pezzana
L'ufficiale e la spia
Robert Harris
Mondadori

«Maggiore Picquart. Sono atteso dal ministro della Guerra...».
La sentinella su rue Saint-Dominique esce dalla garitta per aprire il cancello e sotto un turbine di neve attraverso il cortile ventoso per entrare nel caldo atrio dell’hôtel de Brienne, dove un azzimato giovane capitano della Guardia repubblicana si alza per salutarmi. In tono ancora più concitato, ripeto: «Maggiore Picquart. Sono atteso dal ministro della Guerra...!».
Marciamo al passo, il capitano davanti, sul pavimento di marmo bianco e nero della residenza ufficiale del ministro, saliamo la scalinata curva, oltrepassiamo armature d’argento risalenti all’epoca del Re Sole, gli orrendi dipinti del kitsch imperiale, il quadro di David Napoleone attraversa le Alpi al San Bernardo, fino a quando arriviamo al primo piano, dove ci fermiamo davanti a una finestra che dà sul giardino e il capitano si allontana per annunciare il mio arrivo, lasciandomi solo per qualche istante a contemplare una scena rara e incantevole: il giardino innevato avvolto dal silenzio nel pieno centro di una città, una mattina d’inverno. Perfino le luci elettriche giallognole del ministero della Guerra, che brillano tra gli alberi diafani, hanno un che di magico.
«Il generale Mercier l’aspetta, maggiore.»
L’ufficio del ministro è enorme, elegantemente tappezzato d’un tenue verdazzurro, con un doppio balcone che si affaccia sul giardino imbiancato. Due uomini attempati in uniforme nera, gli ufficiali più alti in grado del ministero della Guerra, sono in piedi di spalle davanti al camino acceso. Uno è il generale Raoul le Mouton de Boisdeffre, capo di stato maggiore, esperto di affari russi, artefice della nostra sempre più stretta alleanza con il nuovo zar; ha trascorso così tanto tempo presso la corte imperiale che sembra ormai un conte russo dai baffi impomatati. L’altro, sulla sessantina o poco più, è il suo superiore: il ministro della Guerra in persona, il generale Auguste Mercier.
Avanzo a passo marziale sul tappeto fino al centro della stanza e faccio il saluto militare.
Mercier ha un viso stranamente corrugato e immobile, come una maschera di cuoio. A momenti ho la strana impressione che a guardarmi attraverso gli occhi stretti a fessura sia qualcun altro. Mi dice a voce bassa:
«Allora, maggiore Picquart, non c’è voluto molto. A che ora è terminata?».
 «Mezz’ora fa, generale.»
«È davvero tutto finito?»
Annuisco. «È finito».
E così tutto ha inizio.

La Stampa