Omaggio a Nina Berberova 30/10/2019
Autore: Diego Gabutti
Omaggio a Nina Berberova
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Nina Berberova, Il corsivo è mio, Adelphi 1989, pp. 593, 32,00 euro, eBook 2019, 22,99 euro; Storia della baronessa Budberg, Adelphi 1993, pp. 422, 32,00 euro, eBook 2019, 22,99 euro; Le feste di Billancourt, Adelphi 1994, pp. 218, 19,00 euro, eBook 2019, 13,99 euro.


Agosto 1939. Due cattivi da feuilleton, Hitler e Stalin, con una mano firmano il patto per spartirsi le spoglie della Polonia e con l’altra spediscono a tutte le nazioni l’invito al ballo della guerra globale. È il secondo tempo della Grande Guerra: la «guerra imperialista» che vent’anni prima Lenin (presto imitato da D’Annunzio, poi anche da Mussolini e Hitler) ha trasformato in «guerra civile» su scala universale. Storia, utopia e letteratura si confondono. Quello del 1939 è un agosto d’apocalisse e Nina Berberova – «russa bianca», memorialista per vocazione filosofica, storica dell’età delle rivoluzioni, grande scrittrice e grande giornalista – ne prende nota nel suo Quaderno nero, Adelphi 2000, il diario dell’esilio e della guerra che trent’anni più tardi confluirà nel suo capolavoro autobiografico, Il corsivo è mio. Quest’ultimo è stato appena ripubblicato da Adelphi in edizione eBook insieme a un’altra sua esemplare opera biografica, la Storia della baronessa Budberg, che è insieme la storia dell’horror socialista nel XX secolo e la storia di Maria Ignatievna Budberg, decisa a sopravvivere alla morte politica e letteraria dei suoi amanti, uno più straordinario dell’altro: il romanziere sovietico ufficiale Maksim Gor’kij, l’autore della Guerra dei mondi Herbert George Wells e Robert Bruce Lockhart, il diplomatico inglese (in seguito autore di best seller autobiografici, da cui viene tratto nel 1934 The British Agent, un film interpretato da Leslie Howard, l’Ashley di Via col vento) che tentò con ogni mezzo, ma disgraziatamente invano, di rovesciare il governo golpista di Lenin e Trotskij e d’impedire che la Russia, nel 1918, firmasse una pace separata con la Germania.

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In Russia, negli anni della guerra e della rivoluzione, gli anni di Maria Ignatievna Budberg, c’erano utopisti, romanzieri e agenti segreti dappertutto, come scrive Berberova: «Ancora prima della guerra, ai tempi di Buchanan, a Pietroburgo lavorarono in periodi diversi Compton Mackenzie, John Galsworthy, Arnold Bennett, H.G. Wells e G.K. Chesterton, il cui romanzo L’uomo che fu Giovedì appassionò due generazioni di lettori russi. Più tardi fu inviato dall’Inghilterra anche Walpole, che strinse amicizia col pittore K.A. Somov. Fin dal 1914-1915 Walpole, grazie a Somov e al russo d’origine greca Likiardopulo, traduttore di Oscar Wilde, fu introdotto nei circoli letterari russi. Frequentava Merežkovskij, Sologub, Glazunov e Skrjabin; sapeva bene il russo e scriveva romanzi ambientati in Russia, che per un certo periodo furono popolari in Inghilterra. Somerset Maugham, giovane ma già famoso ai tempi della prima guerra mondiale, lo accompagnava spesso per brevi periodi. Baring soggiornava quasi stabilmente a Pietrogrado. Anche Lawrence d’Arabia e più tardi il giovanissimo Graham Greene vi si fermarono per poco». 1939, in ogni modo: il romanzo del Novecento continua, e i romanzieri sono sempre al centro della scena. Nina Berberova vive in Francia da emigrata e, a differenza dei comunisti francesi (tra cui gli ex surrealisti come Louis Aragon e i protoesistenzialisti come Jean-Paul Sartre) che inneggiano al patto «antimperialista» tra Mosca e Berlino e lo credono eterno, non s’illude sulla tenuta d’una simile alleanza. È inevitabile, pensa, che i cultori della razza eletta e i tifosi della classe sociale destinata a ereditare il mondo, come due pazzi che si credono entrambi Napoleone, prima o poi finiscano per spararsi addosso. Hitler, che da un lato vorrebbe consolidare la Fortezza Europa profittando della neutralità sovietica e che dall’altro non vede l’ora d’annettersi con le «marche» slave ricche di petrolio, d’ebrei da liquidare e di manodopera subumana a costo zero, resterà vittima delle sue astuzie e della sua impazienza. Stalin e il comunismo mondiale la sfangheranno invece per altri cinquant’anni. Così, intorno agli appunti di Nina Berberova, scrittrice delicata, letterata raffinatissima, si dipana, romanzesca, la storia del secolo. In un altro tempo, anzi in un altro pianeta, l’intellettuale cosmopolita, l’autrice delle Feste di Billancourt, l’amica di Gor’kij e della baronessa Budberg, avrebbe dedicato la vita alla letteratura, all’arte, all’amore, alla musica e alla poesia. Avrebbe cioè vissuto pienamente e secondo la sua natura. Ma il ventesimo secolo, sacrificando interi popoli e classi sociali al dio cannibale della storia, ha guastato tutte le storie personali, segnandole con le stimmate della sventura. Nel Quaderno nero della Berberova, come negli altri suoi libri, è questa sventura storica, non i personaggi di volta in volta disegnati a tinte cupe, a occupare di prepotenza tutta la scena. Restano memorabili, per sobrietà ed eleganza, i suoi ritratti dei «russi bianchi» illustri e sconosciuti, degli emigrati «interni» e di quelli scampati alla katorga stalinista, degli arciduchi e delle principesse in miseria, dei cospiratori, degli artisti e dei poeti, di Pasternak e di Nabokov, di Gorkij e di Majakosvskij, di Blok e Bunin, di Kerenskij e dei menscevichi in fuga dai diktat del Vero Marxismo. Ma l’ombra catastrofica degli eventi, prima l’esercito di Hitler che occupa mezza Europa, poi quello di Stalin che farà altrettanto con la metà che restaà, sovrasta ciascuno di loro e finisce, presto o tardi, per inghiottirli a uno a uno. Ciascuno di questi ritratti, ogni appunto del Quaderno nero, ogni nota a piè di pagina del Corsivo è mio e della Baronessa Budberg, avrebbe potuto essere, sotto altre lune, ricco e istruttivo come una novella di Cechov o di Maupassant, ma la sventura storica detta alla letteratura le sue condizioni come un esercito nemico che sfila sugli Champs-Élysées dopo aver travolto la Linea Maginot e sbaragliato eserciti interi. E così ogni racconto di Nina Berberova diventa cupo, nudo e deforme come i mostri di pietra che spiano dai frontoni delle cattedrali gotiche. Sembra una storia di Fu Manchu e invece è la storia del mondo.

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Diego Gabutti