'Dio salvi il Texas', di Lawrence Wright
Commento di Diego Gabutti
Lawrence Wright, Dio salvi il Texas. Viaggio nel futuro dell’America, NR Edizioni 2019, pp. 304, 22,00 euro, eBook 9,99 euro
Texano, maestro del reportage, Lawrence Wright – di cui esce in traduzione italiana Dio salvi il Texas, che è insieme panegirico e presa di distanza dal suo Stato natale – è autore d’almeno due classici del giornalismo: Le altissime torri, Adelphi 2007, storia d’Al Qaeda e degli attentati di Washington e New York, e La prigione della fede. Scientology a Hollywood, Adelphi 2015, un libro che spiega molte cose dell’America. Compreso, naturalmente, il declino del grande cinema (ridotto a Disneyland di supereroi Marvel e DC, come ha lamentato nei giorni scorsi Martin Scorsese) anche per effetto delle ridicole superstizioni di Scientology, una delle tre piaghe che divorano Hollywood (le altre due, a occhio, sono la cocaina e il MeeTo). Quanto al Texas, racconta Wright in un libro magistralmente scritto e concepito, è contemporaneamente una piaga e una festa, come (a pensarci) ogni altro paese. C’è del fondamentalismo religioso: «aborto», «ateismo», «matrimonio gay», «scienza» sono parole che a Houston e Dallas si pronunciano a proprio rischio e pericolo. In compenso c’è anche della «buona musica» (al punto che il vecchio attore e cantante country-folk Willie Nelson, dopo essere stato condannato per un’evasione fiscale di 32 milioni di dollari, si è guadagnato niente meno che una statua, eretta in una vasta piazza di Austin, la città più «liberal» dello Stato). Inutile negare che in Texas, roccaforte repubblicana dopo la grande stagione democratica di Lyndon B. Johnson, il gusto per le risse da saloon si è esteso, dalle mescite di birra e tacos, ai saloon della politica. Ma è vero anche per New York e per la California, fortezze democratiche, dove le guerre politiche sono sempre meno cavalleresche, se mai lo sono state. Quindi fa un po’ sorridere, ma non è così strano, «che la figura che più incarna i valori che le persone associano al Texas» – scrive Wright – «sia un miliardario narcisista di Manhattan che ora se ne sta seduto nello Studio Ovale». Il mondo non è poi così vario. In Texas c’è del razzismo, e anche questo è un fatto: neri e latinos, nelle enclave conquistate dalla versione Tea Party del partito repubblicano, passano i loro guai. È stato il Texas, i cui confini col Messico sono labili e dunque facilmente penetrabili da parte di clandestini e corrieri della droga, ad avere posto in primo piano la questione non soltanto locale dell’immigrazione, che in USA ha prodotto la presidenza Trump e da noi, molto più in piccolo, il primo governo Conte (decisamente antimmigrati, mentre il secondo è pro-immigrati e il terzo non saprà più dove mettere, né su chi allungare, le mani). Ma il Texas, lo stato della stella solitaria, di Pecos Bill e dei cespugli rotolanti, è soprattutto il grande paese dell’anarchia western, di John Ford, di Pat Garrett e Billy Kid, dove Stato e Autorità sono state sempre guardate con sospetto, al cinema e fuori. È il mondo in cui non c’è aria per le ideologie statolatriche e collettiviste, e dove l’individualismo resta il bene più prezioso: un’idea della società, degli uomini e della legge per cui vale la pena di tenersi bene stretto il secondo emendamento, il diritto cioè d’armarsi, all’occorrenza, anche fino ai denti. «Il Texas», scrive ancora Wright, «occupa lo stesso territorio emotivo della landa selvaggia di Giudea, solo che non c’è Dio». Ci sono però i pozzi di petrolio, dunque anche gli zig zag di un’economia fondata sul prezzo altalenante dei barili e sull’insicurezza politica, perché «le aziende che dipendono dalle risorse naturali» – continua Wright – «tendono ad avere problemi intrinsechi. La concentrazione della ricchezza – che sia derivata dal petrolio, dal carbone o dai diamanti – spesso porta alla corruzione e all’autoritarismo. Il Venezuela, l’Arabia Saudita e la Louisiana sono buoni esempi. In questo tipo di società l’economia sale e scende secondo la stessa unità di misura. Dove i soldi escono dalla terra, non sono il talento, l’istruzione o il duro lavoro i fattori più rilevanti a definire il proprio futuro, bensì la fortuna e la determinazione a prendersi dei rischi». Ci sono i pozzi di petrolio, con le loro pesanti ricadute sistemiche, d’accordo, ma sotto la stella solitaria c’è anche la ricerca più avanzata nel campo delle energie pulite e alternative. Percorrendolo da un capo all’altro, illustrandone gli splendori e le miserie, Wright racconta il Texas, cioè l’America profonda che si sta affacciando sulla scena globale, con divertimento, allarme e incontenibile passione.
Diego Gabutti
Già collaboratore del Giornale (di Indro Montanelli), di Sette (Corriere della Sera), e di numerose testate giornalistiche, corsivista e commentatore di Italia Oggi, direttore responsabile della rivista n+1 e, tra i suoi libri: "Un’avventura di Amedeo Bordiga" (Longanesi,1982), "C’era una volta in America, un saggio-intervista-romanzo sul cinema di Sergio Leone" (Rizzoli, 1984, e Milieu, 2015); "Millennium. Da Erik il Rosso al cyberspazio. Avventure filosofiche e letterarie degli ultimi dieci secoli" (Rubbettino, 2003). "Cospiratori e poeti, dalla Comune di Parigi al Maggio'68" (2018 Neri Pozza ed.)