Siria: le conseguenze del ritiro americano
Analisi di Antonio Donno
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La situazione che si è venuta a creare nel nord della Siria è suscettibile di sviluppi che in questo momento non si possono prevedere. Per quanto la Russia abbia preso il posto dei soldati americani ritirati da Trump, Assad non può permettere che una fascia del proprio territorio resti nelle mani di Erdogan. È una situazione provvisoria, che non può che preannunciare nuovi sviluppi. Infatti, gli alleati di Erdogan, dal canto loro, non potranno accettare che il prezioso aiuto fornito alla sopravvivenza di Assad in Siria sia sfruttato dalla Turchia per annettersi di fatto una fascia del territorio siriano, giustificando l’operazione come difesa nei confronti dei curdi che vivono in quella regione. Tale occupazione viola nella sostanza gli accordi fra i tre paesi che hanno contribuito alla salvezza del regime siriano, danneggiando gli interessi di Russia e Iran, i quali hanno messo in campo risorse ben più ingenti di quelle turche a favore di Assad. In sostanza, Erdogan pretende di ottenere dal suo impegno nella triplice intesa pro-Siria un risultato territoriale ben più sostanzioso di ciò che gli altri due partner potranno esigere dal regime siriano. È del tutto probabile che Putin e Rohani si accordino con Assad per mettere a punto una strategia che respinga le truppe turche all’interno dei propri confini. L’invasione turca di una fascia del territorio siriano ha spostato imprevedibilmente la questione mediorientale all’interno degli attori che giocano la loro partita nella regione. Se si ragiona in questo modo, si dovrebbe concludere che gli Stati Uniti non facciano più parte del gioco mediorientale, dopo che Trump ha ordinato ai propri soldati di ritirarsi dalle posizioni all’interno del territorio curdo, permettendo a Erdogan di occuparlo con una rapida azione militare. Non è così nella realtà politica della regione. Infatti, la strategia politica di Trump prescinde completamente dall’intervento militare americano, come si è visto in episodi precedenti. Trump sta mantenendo la promessa di ritirare i soldati americani dalle scene di guerra, nella prospettiva di vincere le prossime elezioni presidenziali del 2020. E, tuttavia, ciò non vuol dire che Washington rinunci ad una presenza politica nel Medio Oriente. Gli stretti legami che Trump ha stabilito con Israele e con i paesi sunniti, minacciati da vicino dall’imperialismo iraniano, rappresentano un impegno di grande portata proprio nella regione mediorientale. Quest’impegno non è per nulla scalfito dal ritiro dei soldati americani dal nord della Siria. Si può dire, perciò, che la strategia di Trump nel Medio Oriente ha due facce distinte, ma complementari. Da una parte, il ritiro americano dal territorio siriano abitato dai curdi viene incontro al desiderio presidenziale di evitare qualsiasi coinvolgimento americano in scenari di guerra e, nello stesso, tempo, di lasciare la patata bollente curda nelle mani dei tre alleati di Assad, in attesa che la questione eventualmente esploda nel loro campo. Dall’altra, invece, il legame politico che unisce gli Stati Uniti a Israele e al mondo sunnita resta intoccato, costituendo un blocco di alleanze politiche che rappresentano un ostacolo alla minaccia iraniana e, nel contempo, confermano l’impegno americano in una parte strategicamente decisiva dell’intera regione. In sostanza, il ritiro dei soldati americani da una porzione del grande territorio del Medio Oriente non inficia per nulla la presenza politica di Washington in seno ad una strategia di vasto respiro nella regione. Se Obama aveva ritirato le proprie truppe dal Medio Oriente, operando nello stesso tempo un totale ritiro politico dalle questioni di una regione di fondamentale importanza strategica, Trump mantiene ben ferma la propria visione politica dei problemi dell’area e degli interessi americani, nonostante il ritiro dei propri uomini da una zona limitata di conflitto militare. La critica che da più parti si rivolge a Trump per il ritiro dei soldati americani dal cuscinetto curdo si dimostrerà errata nel momento in cui la strategia complessiva del presidente americano risulterà efficace nel tempo. La questione mediorientale è oggi così intricata da non consentire facili giudizi, se non per interessi politici del momento, come nel caso delle accuse dei democratici americani e dei loro sostenitori europei nella prospettiva delle elezioni presidenziali americane del prossimo anno.
Antonio Donno