Gustaw Herling, campione di libertà, la censura continua 19/10/2019
Autore: Diego Gabutti
Gustaw Herling, campione di libertà, la censura continua
Lo rivela Diego Gabutti

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Il passato che non passa mai del tutto, lo rivela la lettura attenta e consapevole di Diego Gabutti sul Meridiano dedicato a Gustaw Herling, uno dei più significativi "eroi dimenticati" che continua a far paura.

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Gustaw Herling, Etica e letteratura. Testimonianze, diario, racconti, a cura di K. Jaworska, Meridiano Mondadori 2019, pp. 1837, 80,00 euro.

 
Nella primavera del 1999, un’era geologica dopo la fine del comunismo, quando non soltanto le statue di Stalin ma anche quelle di Lenin e d’ogni altro membro della Cupola bolscevica erano state abbattute e fuse, Gustaw Herling ricevette una lettera dall’Einaudi, casa editrice sabauda post filosovietica e ai tempi già parte dell’impero berlusconiano.
Caro Herling, diceva la lettera, la sua introduzione ai Racconti della Kolyma, di cui sta per uscire la traduzione integrale nei Millenni, non sarà pubblicata. Spiacenti, ma non va più bene. Vero che la conversazione tra lei e Piero Sinatti, traduttore dell’opera, è stata concordata da tempo come introduzione ai Racconti, ma l’abbiamo letta e purtroppo ci sembra indugiare decisamente troppo sul côté storico-politico dei Racconti (il Gulag, l’horror delle ideologie estreme, i milioni e milioni e milioni di morti ammazzati) e non abbastanza su quello estetico-letterario (la bella pagina, il posto occupato da Varlam Šalamov nella storia della moderna letteratura russa). Quindi niente «conversazione» e amici come prima.

Più stupefatti che offesi, Herling e Sinatti, a giugno dello stesso anno, pubblicarono la convdersazione censurata e il carteggio con l’editore torinese in un prezioso volumetto edito dall’Ancora del Mediterraneo: Ricordare, raccontare. Conversazione su Šalamov.
Duri, cocciuti, i due sciagurati insistevano a dare «un peso eccessivo» a tutti quei «lager e Gulag con relativi corollari», come aveva ironizzato, qualche mese prima, il galoppino dell’Einaudi.
Fine della storia? No, c’è un’appendice. Sono passati vent’anni, la fine del comunismo (e delle egemonie culturali togliattian-gramsciane) è ancora più remota, l’impero editoriale berlusconiano è sempre più esteso, sempre più dominante, sempre più liberaldemò, eppure continua a non esserci traccia dell’introduzione alla Kolyma nemmeno in Etica e letteratura, il recentissimo Meridiano Mondadori dedicato a Herling.
Vero che si tratta d’una «conversazione» e non di un’opera redatta nelle debite forme saggistiche. Vero che Einaudi è parte del vasto dominio mondadoriano e che una mano lava (mica denuncia) l’altra. Vero che aver dedicato un Meridiano all’autore d’Un mondo a parte – una delle prime e più scioccanti testimonianze dall’interno dei reticolati comunisti – è cosa comunque meritoria.
Ma lo scandalo dell’introduzione Einaudi è importante. È parte grossa della storia personale e (se proprio si vuole) anche «letteraria» dell’autore.

Polacco e italiano d’adozione, sposato con Lidia Croce, figlia del filosofo, Herling (1919-2000) ha subìto l’ostilità dell’intellighenzia italiana di sinistra, sempre devota ai tiranni, fino alla caduta del Muro di Berlino. Quotidiano progressista senza vergogna, pagato rublo su rublo dal Soviet supremo, Paese Sera chiese una volta la sua espulsione dall’Italia: il maledetto cosmopolita diffamava il paradiso socialista inventando di sana pianta l’esistenza del Gulag nel quale millantava d’essere stato rinchiuso.
Era l’epoca in cui Umberto Eco (non mi stanco mai di ricordarlo) dava a Solženicyn del «Dostoevskij da strapazzo». Morale: il fatto che dieci anni dopo la fine del comunismo – nella primavera del 1999, sparito dalle edicole Paese sera, diventato Herling niente meno che un autore Feltrinelli, già editore ultrasinistro – lo scandalo continuasse col taglio dell’introduzione ai Racconti di Šalamov era decisamente un «corollario» (per citare il censore) solo apparentemente innocuo di tutti quei «lager e Gulag» e annessi e connessi.
E lo scandalo continua, come si vede dal Meridiano appena pubblicato dallo stesso editore, dove la «conversazione» censurata nel 1999 non gode nemmeno della magra consolazione d’una riabilitazione postuma.
Ma quale scandalo, di preciso? Che cosa precisamente censurarono (e ancora censurano, senza temere il ridicolo) le ultime raffiche dell’egemonia culturale?
Forse il discorso sul Gulag? No, visto che ormai se ne ammetteva l’esistenza persino in Via Biancamano, dove un tempo il Fondatore in persona aveva pensato di pubblicare l’opera omnia di Andrej Ždanov, il Grande fratello della scena letteraria sovietica in epoca stalinista? Si censurò allora la critica radicale del comunismo? Nemmeno: ogni pagina di Šalamov era una condanna senza appello dell’esperimento sovietico e di tutte le sue ricadute planetarie, da Palmiro Togliatti a Mao Zedong, da Pol Pot al compromesso storico.

Allora cosa intendevano nascondere gli Ždanov da strapazzo di Via Biancamano? Semplice: il fatto che comunismo e nazismo (come spiegava Herling nella «conversazione» con Sinatti e in tutta la sua opera) sono «fratelli gemelli», indistinguibili e solidali tra loro, l’uno «socialismo senza società», l’altro «nazionalismo senza nazione», nonché identica manifestazione dello stesso Male metafisico.
Non il Male astratto, edulcorato e fittizio dei filosofi, e nemmeno un Male ridotto a banalità, strumento brandito da impiegati e omiciattoli, ma il Male concreto, tangibile: un «bug» nel codice della condizione umana.
«Sono un manicheo», diceva di sé Herling, nemico giurato delle Tenebre novecentesche. «Per me è indubbio» – disse a Édith de la Héronnière, quando lo intervistò per Variazioni sulle tenebre, l’Ancora del Mediterraneo 2000 – «che il nazismo fosse un impero del Male. Quando Ronald Reagan ha parlato d’“impero del male” a proposito dell’Unione sovietica è stato deriso dai progressisti, i quali però avevano torto, poiché non poteva trovarsi una definizione più precisa per un paese che continuava a essere quello in cui si svolgeva Il maestro e Margherita».

All’origine di tutto: il bolscevismo, il colpo di stato dell’ottobre 1917, Lenin e la sua cucciolata di mostri, che stanno al totalitarismo del XX secolo, a Hitler e Mussolini e Castro e Khomeini e Kim Il-sung e a tutti quanti «i lager e Gulag con relativi corollari», come gli angeli caduti, nel racconto biblico, stanno alla corruzione del mondo e delle anime. Ne sono il modello e la fonte.
È di questo che gli ex, post e vetero marxleninisti non vogliono sentir parlare. Ancora oggi «gl’inguaribili cretini» (per citare André Glucksmann, citato da Herling nel Diario) della sinistra italiana e planetaria protestano e starnazzano nel parlamento europeo contro chi dice la verità a proposito della storia del Novecento: la storia non soltanto della loro cecità ma delle loro colpe.

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Diego Gabutt