Mieli raddrizza le gambe storte
Commento di Diego Gabutti
Paolo Mieli
Che la storia, a dispetto delle testimonianze e dello studio dei documenti sui quali fonda le sue pretese, non sia l’esatto compendio della realtà, o anche soltanto il suo quadro approssimativo, ma un genere letterario, e che dei generi letterari (il poliziesco, la love story, talvolta la poesia epica, la spy story, l’hardcore e persino la fantascienza, ma soprattutto l’horror e la propaganda) sia anzi il riassunto generale, è cosa più o meno pacifica, ancorché poco detta.
Chiunque legga con piacere i libri di storia sa che il suo è un piacere indistinguibile da quello che prova un lettore di poesia o di fumetti. Non è il piacere del voyeur, che spia l’evento nudo, crudo e indubitabile dal buco della serratura, ma il piacere intenso e anche un po’ colpevole del lettore di fiction, che sospende l’incredulità quando D’Artagnan, Robinson Crusoe o Peter Pan vivono le loro avventure stupefacenti (e intanto lui, seduto sul divano di un’altra dimensione, vola di pagina in pagina tra duelli all’ultimo sangue, decenni di solitudine e bambini sperduti).
È per questo che correggere gli errori, le frottole e gli abbagli della storia, come fa Paolo Mieli nel suo ultimo libro, Le verità nascoste, fresco di libreria, è cosa insieme vantaggiosa e superflua. Raddrizza qualche torto, naturalmente: il regime fascista (qualunque cosa ne dicano Giorgia Meloni e Casa Pound) pullulava di ladri e di corrotti; la Santa Inquisizione non andò mai a caccia di streghe mentre (sorpresa) s’occupava di riti satanici e di stregoneria il tribunale di Los Angeles nel 1983; il moderno e trucido antisemitismo arabo (a dispetto di tutte le favole) comincia ben prima della nascita d’Israele e della Guerra dei Sei Giorni. Ma i torti del racconto storico si raddrizzano al modo in cui segnaliamo agli amici i buchi di sceneggiatura dopo avere visto un film d’azione (dov’è raro che si capisca come, perché o quando alla causa A sia seguito l’effetto B).
Corretta l’ingiustizia, o almeno smascherata l’imprecisione riguardo a questo o quel fatto o «fattoide» storico, non emerge necessariamente la verità dell’evento, che rimane oscura, oppure inferiore alle attese: Spartaco non voleva rovesciare l’Impero per instaurare la democrazia ma soltanto tornarsene in Tracia e, quanto a Winston Churchill, il primo ministro inglese fu lì lì (ma solo «lì lì», dunque il quadro generale resta intatto) per cedere alle pressioni di chi voleva trattare la pace con Hitler e al diavolo l’Europa. Esattamente come il racconto storico, anche la revisione del racconto storico è un genere letterario, al pari delle serie televisive: a dimostrarlo il gossip, gl’intrighi, gli amori e i delitti, i colpi di scena, le trame secondarie, le congiure d’Agrippina, le guerre segrete di Stalin vs Mao, la disputa (tra histoire e religione) sulle origini di Gerusalemme, la fuga da Mosca di Palmiro Togliatti quando l’Onnipotente (con la complicità dei «togliattiani» italiani) vuole farne lo zar del Cominform, l’altra faccia del mussolinismo di D’Annunzio e dell’antimussolinismo di Curzio Malaparte, i meriti antinazisti di Papa Pacelli, la genesi quarantottesca (mazzinian-garibaldina) della mafia siciliana.
Oltre che un giornalista e uno storico, Paolo Mieli è anche un affabulatore, con uno spiccato talento per il feuilleton storico. Come tutti gli scrittori, è prima di tutto un grande lettore, e la sua passione per la storia è in primis una passione per i libri di storia, che recensisce e illustra con apparente freddezza sul Corriere della Sera, di cui è stato due volte direttore. Anche Le verità nascoste, come già un paio di suoi libri precedenti, è una raccolta di recensioni. Ma di recensioni narrative, romanzescamente impegnate: ciascuna una storia a suo modo mirabolante. Commedie, tragedie, persino qualche farsa qua e là.
Tra le altre Muse: l’oblio. In chiusura del libro, Mieli tesse infatti l’elogio dell’oblio citando, tra gli altri, Marguerite Duras, secondo la quale «la dimenticanza è la vera memoria. Credo soltanto alla spiegazione psicologica delle cose, del vissuto, della scrittura, della dimenticanza, della memoria e di come si mescolano bene insieme». In ogni racconto storico, di cui è impossibile stabilire la veridicità ma di cui si può sempre apprezzare la verosimiglianza, c’è immancabilmente qualcosa che somiglia, da lontano, alla dimenticanza: le circostanze drammatiche, la temperie romanzesca, la deformazione talvolta inconsapevole (più spesso no) dei fatti noti, l’eterno crocevia dei sentieri che s’incrociano, l’ambarabaciccicoccò delle interpretazioni.
Ma soprattutto c’è la forza poderosa dell’episodio solo apparentemente occasionale: l’aneddoto (come sa chiunque ricordi Cornelia dire dei suoi figli «ecco i miei gioielli» o il marinaio di Colombo esclamare «Terra! Terra!») che inchioda la storia al suo contenuto di realtà come una farfalla spillata sullo stenditoio.
Mieli cita uno di questi episodi: fortuito, minore, eppure più eloquente di qualsivoglia analisi erudita della fase storica. Ne parla Mario Vargas Llosa (gli abbiamo dedicato un pezzo soltanto pochi giorni fa) nelle Avventure della ragazza cattiva, Einaudi 2014: «Finito il viaggio in Francia e un breve giro in pullman per la Castiglia e l’Andalusia, lo zio Ataùlfo mi spedì alcuni ritagli di giornale da Lima con delle foto truculente: alcuni sconosciuti maoisti avevano impiccato, ai pali della luce nel centro della capitale, dei poveri cani a cui erano attaccati dei cartelli con il nome di Teng Hsiao Ping, che accusavano d’avere tradito Mao e avere posto fine alla rivoluzione culturale nella Cina Popolare. Cominciava così la rivoluzione armata di Sendero Luminoso, che sarebbe durata per l’intero decennio degli anni Ottanta e avrebbe causato un bagno di sangue senza precedenti nella storia peruviana: più di sessantamila fra morti e desaparecidos».
(Il pezzo di Diego Gabutti esce in contemporanea su ITALIA OGGI)
Diego Gabutti
Già collaboratore del Giornale (di Indro Montanelli), di Sette (Corriere della Sera), e di numerose testate giornalistiche, corsivista e commentatore di Italia Oggi, direttore responsabile della rivista n+1 e, tra i suoi libri: "Un’avventura di Amedeo Bordiga" (Longanesi,1982), "C’era una volta in America, un saggio-intervista-romanzo sul cinema di Sergio Leone" (Rizzoli, 1984, e Milieu, 2015); "Millennium. Da Erik il Rosso al cyberspazio. Avventure filosofiche e letterarie degli ultimi dieci secoli" (Rubbettino, 2003). "Cospiratori e poeti, dalla Comune di Parigi al Maggio'68" (2018 Neri Pozza ed.)