'Romanzo egiziano', di Orly Castel-Bloom 04/10/2019
Recensione di Giorgia Greco
Autore: Giorgia Greco
Romanzo egiziano
Orly Castel-Bloom
Traduzione di Shulim Vogelmann
Giuntina Euro 17

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La copertina (Giuntina ed.)


“…Penso che uno scrittore non debba abbellire il linguaggio, ma piuttosto scrivere nel modo in cui la gente parla, e gli israeliani, nello specifico, quando parlano, ancora di più di quando scrivono, sono piuttosto diretti e ruvidi. L’ebraico parlato è una mescolanza di metafore bibliche alte, clichès e slang molto diretto. Io faccio del mio meglio per essere fedele a tutto questo, per rappresentarlo com’è”.

Con queste parole Orly Castel Bloom spiegava il suo approccio alla scrittura in occasione dell’uscita nel 2011 del suo romanzo “Textile” con la casa editrice Atmosphere Libri. Capace di forti innovazioni linguistiche ed espressive l’autrice israeliana, nata a Tel Aviv nel 1960 da una famiglia di ebrei egiziani, è una delle voci più significative della letteratura israeliana venute alla ribalta negli anni ’90 che ha saputo rinnovare i canoni della letteratura del suo paese dando un giro di vite alla struttura lessicale e grammaticale dell’ebraico, sciogliendo altresì l’idioma da classicismi standardizzati. Dopo aver studiato cinema presso l’Istituto Beit Zvi si è dedicata alla narrativa pubblicando raccolte di racconti, romanzi e un libro per bambini. In Italia si è fatta conoscere nel 2003 con “Parti umane” (e/o), un romanzo sulfureo e surreale che racconta un Israele ben poco conformato sull’ideale sionista mentre al Salone del Libro di Torino nel 2008 ha presentato “Dolly City” (Stampa Alternativa), suo romanzo d’esordio in Israele, incluso nel catalogo delle opere più rappresentative dell’Unesco. E’ da pochi giorni in libreria il suo ultimo libro pubblicato dalla casa editrice Giuntina nella brillante traduzione di Shulim Vogelmann con il titolo “Romanzo egiziano”. Attingendo all’esperienza dei suoi genitori di origini egiziane vissuti in un kibbutz fino al momento in cui sono stati cacciati assieme ad altri ventitré egiziani per aver manifestato il loro appoggio all’Urss, Orly Castel Bloom intraprende un percorso affascinante che vede protagonista la famiglia Castil le cui vicende affiorano pagina dopo pagina tra ricordi e memorie autobiografiche. “Romanzo egiziano” è soprattutto un “sippur”, un racconto anzi un insieme di racconti che richiede una lettura senza interruzioni per non perdere la sequenza degli eventi che conducono i fratelli Castil dalla Castiglia al Portogallo fino ad arrivare a Gaza, prima in un kibbutz poi nelle città di Hadera e Tel Aviv. Il tutto in un continuo alternarsi - con i ritmi dell’oralità antica - di epoche e luoghi distanti fra loro che conservano intatta la memoria di tradizioni e consuetudini differenti. La brevità dei capitoli caratterizzati da una prosa efficace dal forte impatto visivo, seppur non sempre lineare nella narrazione, agganciano il lettore alla pagina che si trova ora partecipe delle manifestazioni per la libertà in piazza Tahrir, ora coinvolto nelle discussioni in kibbutz su Stalin, Gordon e il sionismo con personaggi ritratti con uno spirito realistico, condito da un delizioso umorismo. E’ la storia dei fratelli Castil quella che mette in scena Orly Castel Bloom costretti ad abbandonare nel 1492 il borgo di Torre de Mormojòn in Castiglia, prima verso il Portogallo poi, tra conversioni forzate al cristianesimo e mille peripezie attraverso il Mediterraneo, fino all’approdo sulla spiaggia di Gaza, all’esperienza del kibbutz e alla successiva cacciata per aver votato “per la legittimità dei processi di Praga”. “Dopo che con il loro voto avevano disatteso alla decisione del movimento centrale, gli egiziani in rivolta furono estromessi dalla pianificazione del lavoro…Il loro voto testimoniava la loro libertà e il loro cosmopolitismo, e non la loro infedeltà al kibbutz e al paese. Ma non valse a niente”. Nei racconti di vita che compongono “Romanzo egiziano” l’autrice fa emergere un passato ricco di tradizioni culturali e religiose in cui identità diverse condividono una quotidianità plasmata da complesse interazioni umane. Attraverso le vicende delle coppie protagoniste Charlie e Viviane, Adele e Vita, oltre che dei loro eredi l’autrice racconta un pezzo di Storia ebraica che si tramanda da una generazione all’altra e volge lo sguardo dalla politica israeliana a quella egiziana, dalla religione con la questione dei conversos e degli ortodossi alla Primavera araba del 2011 quando “l’esercito egiziano aprì il fuoco sui manifestanti sparando proiettili veri”, dalle implicazioni della vita in un kibbutz all’organizzazione della vita familiare in una grande città. Con “Romanzo egiziano” che ha vinto in Israele nel 2015 il prestigioso Sapir Prize il lettore può gustare un racconto coinvolgente che ricorda le atmosfere descritte dallo scrittore israeliano Ron Barkai nel romanzo “Come in un film egiziano” (Giuntina) e che, alternando passato e presente, lascia ampio spazio alla memoria, fra autobiografia e immaginazione, e ci svela la strada maestra da percorrere per ritrovare una felicità perduta.


Giorgia Greco