Israele e il problema della sicurezza
Analisi di Antonio Donno
La copertina
In un recente libro, Israel Facing a New Middle East: In Search of a National Security Strategy (Hoover Institution Press, Stanford University), Itamar Rabinovich e Itai Brun svolgono un’analisi critica della strategia di sicurezza nazionale a partire dalla guerra del 1967, concentrandosi soprattutto sulla gestione di questo campo essenziale della vita di Israele da parte della destra israeliana. Non è una novità, per Rabinovich. Ambasciatore del suo paese negli Stati Uniti al tempo di Rabin, dopo la morte del premier ha svolto un’intensa attività di ricerca che si è tradotta in numerosi libri nei quali ha sviluppato un’analisi fortemente critica della conduzione della politica estera da parte delle amministrazioni israeliane di destra. Da parte sua, Brun ha occupato posti importanti nell’intelligence israeliana, soprattutto nell’Israel Defense Intelligence (IDI) Analysis Division. Il cuore del discorso di Rabinovich e Brun consiste nell’affermare la crescente forza militare di Israele, ma, nello stesso tempo, – è questo il punto ancor più centrale della critica dei due studiosi – nel giudicare negativamente il fallimento dei governi israeliani “nella formulazione sistematica, per non parlare di discussione, di una grande strategia e di una politica di sicurezza nazionale”, critica che emerse già in un libro curato dallo stesso Rabinovich e da Haim Shaked del 1976, From June to October: The Middle East between 1967 and 1973, in cui i due curatori si riferivano al fatto che, dopo la guerra del 1967, il trionfo di Israele aveva offuscato la necessità, scampato il pericolo, di por mano ad un’analisi dei fatti e ad un’elaborazione di una strategia complessiva per garantire a Israele una sicurezza continua.
La critica colpisce sia il governo laburista di quegli anni, sia soprattutto tutti i governi di destra sino ad oggi. In sostanza, quei governi si affidarono soprattutto ai vertici dell’IDF, trascurando il ruolo del National Security Council, che avrebbe dovuto – esso, sì – svolgere il ruolo di studio e progettazione della strategia di difesa israeliana. La conseguenza è stata che il mutamento continuo, negli anni, della realtà mediorientale non ha prodotto nei governi israeliani la presa di coscienza della necessità di una stabile strategia difensiva di Gerusalemme. Ma proprio in quest’affermazione sta la contraddizione dell’analisi di Rabinovich e Brun. Benché i due studiosi sostengano che furono soltanto i governi di Ben-Gurion ad applicare una solida strategia difensiva, la realtà è che solo dopo il 1967 la strategia araba di contrasto a Israele, con l’Olp in testa, modificò la realtà mediorientale, dando vita non solo ad azioni offensive, ma ad una strategia terroristica mai in precedenza attuata. Questa nuova realtà, che alterò profondamente lo status quo della regione, costrinse Israele a adeguarsi continuamente agli accadimenti che si verificavano sul terreno, in particolare, come detto, a causa delle azioni terroristiche striscianti ad ogni livello del territorio israeliano. Questa nuova strategia terroristica impedì sempre ai governi dello Stato ebraico di elaborare piani stabili di contrasto, affidandosi alle grandi capacità dell’IDF di reagire con successo al nemico. Infine, la critica dei due studiosi si appunta sull’incapacità di Israele di creare al proprio interno un consenso nazionale in grado di risolvere il problema della West Bank e della situazione palestinese. È una critica che sa di faziosità politica. Le responsabilità della situazione attuale ricadrebbero esclusivamente sulla testa di Israele, assolvendo la politica dell’Autorità Palestinese, che nei decenni ha sempre rifiutato ogni proposta israeliana e continuamente ribadito il suo programma centrato sulla distruzione di Israele. La colpa, dunque, è dei governi di destra che accettano lo status quo. Ma quali sono le proposte dei palestinesi? Quali aperture l’Autorità Palestinese ha mostrato alla controparte? Ha mai condannato le azioni terroristiche? Ora la situazione generale palestinese si è messa male nel nuovo contesto mediorientale; la questione è scivolata ai margini della politica globale del Medio Oriente. I palestinesi hanno accumulato nel tempo una serie infinita di errori e oggi ne pagano le conseguenze.
Antonio Donno