Dune e sabbie mobili del Medio Oriente 29/10/2016
Autore: Mordechai Kedar
 

Dune e sabbie mobili del Medio Oriente
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

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Non c'è nulla di stabile in Medio Oriente, nulla a cui aggrapparsi, nulla a cui rinunciare. Poco più di due anni fa, a metà agosto, avevo concluso il mio articolo settimanale con la seguente frase:
“L’ago della bilancia mediorientale è ora spostato sul lato saudita-egiziano, ma non è affatto chiaro se tale coalizione continuerà ancora a dominare il Medio Oriente tra un anno o due. Israele non dev’essere indotto a porre il suo futuro e la sua sicurezza nelle mani di una coalizione temporanea, non importa quanto moderata sia. Israele deve agire in base ad una pianificazione a lungo termine, incentrata sul proprio presente, non sulle mutevoli alleanze delle dune sabbiose del Medio Oriente.”
Purtroppo negli ultimi due anni, Israele e molti altri paesi, si sono richiamati all’ importanza di un trattato con la cosiddetta “coalizione delle nazioni sunnite moderate” vale a dire: Egitto, Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti, e Autorità palestinese, tutti uniti contro la minaccia iraniana e l’ISIS che combattono contro la stabilità dei loro regimi.
Ci sono anche le accuse al governo di Israele di non essere abbastanza saggio da sfruttare l’attuale situazione in Medio Oriente per siglare un accordo di pace con il mondo arabo e islamico, sulla base del Piano di Pace Saudita approvato dalla Lega araba.

La “coalizione delle nazioni sunnite moderate” era nata dalla stretta collaborazione tra Egitto e Arabia Saudita, ed ebbe inizio quando il re Abdullah aveva sostenuto il Generale Sisi che nel luglio del 2013, aveva deposto l’eletto Presidente Mohamed Morsi, membro della Fratellanza Musulmana, in netto contrasto con il parere del governo degli Stati Uniti e dell’Europa.
I miliardi sauditi avevano salvato l’Egitto dalla bancarotta, e la cooperazione tra i due Paesi aveva raggiunto il suo apice quando i soldati egiziani erano venuti in aiuto dei sauditi nella loro lotta contro le forze iraniane e gli Huthi in Yemen.

Peccato che da allora le dune di sabbia su cui era stata costruita quella “coalizione”, si siano spostate sulla scia dei venti del nord provenienti dai campi di battaglia della Siria, capovolgendo la situazione di quella che sembrava vincente solo poco tempo prima.
Oggi i rapporti tra Egitto e Arabia Saudita sono ben diversi da una cooperazione e l’Egitto è ora in stretta combutta con i nemici dell’ Arabia Saudita, Iran in testa.

Come è avvenuta quest’inversione di rotta? Una chiara risposta ce la dà la situazione in cui si trova la Siria negli ultimi due anni: in particolare il coinvolgimento della Russia, la campagna di Aleppo e le risoluzioni concernenti la Siria approvate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di cui l’Egitto quest’anno è membro. La questione Assad polarizza tutti i Paesi coinvolti in Siria: Russia, Iran, Iraq e Hezbollah sostengono attivamente Assad, non solo politicamente, e stanno prendendo parte ai combattimenti.
Assad sarebbe già sparito da tempo senza questo coinvolgimento. Dall’altra parte del campo, Arabia Saudita, Turchia e alcuni Emirati stanno indebolendo Assad politicamente e finanziariamente, fornendo armi e addestramento ai ribelli contro il suo regime. E’ dall’anno scorso che l’ago della bilancia della guerra punta in favore di Assad , nel momento in cui il coinvolgimento militare russo aveva cominciato ad aumentarne le forze.

Si può affermare sebza ombra di dubbio che la Russia sia diventata la principale fonte di potere dell’esercito siriano, soprattutto con l'aiuto aereo, e che lo è ancora di più da quando una buona parte della marina russa, armata di razzi e portaerei, si concentra di fronte alla coste della Siria. I sistemi di difesa aerea che la Russia ha collocato lungo la costa siriana minacciano le attività degli aerei da guerra americani, israeliani e turchi nella zona.
La Russia agisce senza vincoli giuridici o morali, e bombarda i quartieri civili senza pietà, costringendo gli abitanti a diventare scudi umani nelle braccia dei ribelli, quelli che l’Arabia Saudita sostiene, per lo più nei quartieri orientali di Aleppo.

Nell’arena politica, la Russia è riuscita a costringere Erdogan di aiutare i ribelli e a concentrarsi invece nell’impedire ai curdi siriani di fondare un proprio Stato indipendente che potrebbe minacciare la stabilità turca.
Fin dal primo giorno del suo regime nel luglio del 2013, Sisi si è trovato di fronte al dilemma su chi sostenere, se stare con Assad o con i nemici islamisti di Assad, i fratelli ideologici dei propri avversari nel Sinai e lungo tutto il Nilo.
Mentre Sisi era politicamente e finanziariamente dipendente dai sauditi, si è astenuto dal sostenere Assad pubblicamente, ma il diretto e massiccio intervento russo in Siria, lo ha fatto ripensare quale politica sarebbe stato meglio perseguire. Si è reso conto che Assad potrebbe riuscire a vincere i propri nemici e che il regime saudita potrebbe fallire nella guerra contro il dittatore siriano; così ha deciso di scommettere sul cavallo vincente. Ha abbandonato i sauditi, ha attraversato le linee, e ora ritiene che Assad può rimanere al potere, non importa quale accordo futuro ci aspetta.

La decisione degli Stati Uniti di rimanere fuori dalla mischia ha anche aiutato a convincere Sisi che il potere in Medio Oriente è nelle mani della Russia e dei suoi alleati iraniani, e che era ancora in tempo ad unirsi alla squadra vincente abbandonando i perdenti. La votazione dell’8 ottobre al Consiglio di Sicurezza, ha visto il delegato egiziano sostenere la risoluzione suggerita dalla Russia e non quella dei sauditi. In risposta, il delegato ONU dell’Arabia Saudita ha detto che il sostegno dell’Egitto alla Russia è una “cosa brutta” e i sauditi hanno prontamente fermato una spedizione di petrolio diretta all’Egitto e posto restrizioni sui voli dell’Egypt Airlines verso l’Arabia Saudita. La polizia in Egitto ha rimosso le barriere di cemento che proteggevano l’ambasciata saudita al Cairo, sostenendo che proprio in quel punto è in costruzione un tunnel per il traffico. L’ambasciatore saudita ha tenuto conto del suggerimento, abbandonando il Cairo e tornando in patria.

Sisi, in una cerimonia militare, ha annunciato che “l'Egitto si inchina solo ad Allah”, cioè a nessun uomo o altro Paese, alludendo al regime saudita.
I mezzi di comunicazione hanno ricevuto segnalazioni che un ex alto ufficiale egiziano ha venduto motovedette per gli Huthu nello Yemen, le tribù che l’Iran sostiene e l’Arabia Saudita sta cercando di sconfiggere. Questo deterioramento delle relazioni tra i due Paesi si è verificato in soli 5 giorni, tra l’8 ed il 13 ottobre. Nel frattempo, le relazioni tra Russia ed Egitto sono diventate più forti nel corso dell’ultimo anno e la cooperazione tra Putin e Sisi si è estesa alla sfera militare, con grande smcco dei sauditi.
L’Egitto sta acquistando armi russe, partecipa a manovre congiunte con l’esercito russo mentre la Russia lo sta aiutando a costruire una centrale nucleare.

L’Autorità nazionale palestinese

L’Autorità nazionale palestinese (Anp) ha anche aderito alla lista della “coalizione sunnita moderata” con la quale, secondo gli esperti, Israele avrebbe dovuto raggiungere un accordo di pace. Solo che si scopre che la stessa Anp, a dir poco, poggia su gambe traballanti. Negli ultimi dieci anni, siamo stati abituati a una spaccatura politica e territoriale nel settore arabo-palestinese, Gaza come Stato di Hamas e gli arabi di Giudea e Samaria favorevoli all’OLP.

Così era fino al mese scorso, quando il sogno dell’OLP ha dimostrato di essere completamente avulso dalla realtà, dato che la stessa organizzazione è divisa tra i sostenitori di Abbas e chi che appoggia Mohammed Dahlan; questo equivale a uno scisma crescente tra gli arabi che vivono in città e quelli che vivono nei campi profughi. Durante l’anno passato, e in particolare il mese scorso, ci sono stati scontri tra civili e le forze di sicurezza dell’Anp, in cui il comportamento della polizia palestinese verso i civili, è stato di un livello di crudeltà e di violenza pari a quello diffuso nel mondo arabo, fino a quando la “primavera araba” si è ribellata. La ragione è ovvia: le organizzazioni di sicurezza sono piene di personale proveniente dalla Tunisia, non di nativi palestinesi, e pertanto non sono considerate come legittime dai residenti locali.

Quel che sta succedendo oggi nell’ Anp può essere considerato da parte delle istituzioni pubbliche e politiche la preparazione per il dopo Abbas:
Hamas è sempre più forte, accumula armi e pianifica un cambio di gestione della Giudea e Samaria. La paura di Hamas da parte dei sostenitori dell’OLP è dimostrata dalla loro ricerca di un giovane, energico e comprovato rivale di Hamas. Mohammed Dahlan si adatta allo scopo quasi perfettamente, ma è fortemente contrastato da Abbas e dalle sue coorti.

L’OLP resterà in futuro un’organizzazione unita? E’ difficile da prevedere, ma le dinamiche del Medio Oriente perpetuano le controversie e le aggravano, quindi è del tutto possibile che questa guerra intestina distruggerà l’OLP, come la sua lotta con Hamas ha distrutto il sogno di uno Stato palestinese, ancor prima della sua nascita.

Gli sviluppi all’interno dell’OLP dimostrano ancora una volta che l’unica soluzione possibile per quanto riguarda gli arabi che vivono in Giudea e Samaria è quella dell’Emirato, che ne richiede la creazione nelle città di Giudea e Samaria, governati da hamoulot (clan) locali . Per farlo bisogna consentire che l’Anp cada a pezzi in modo che sulle sue rovine possano essere costruiti sette Emirati: Jenin, Sichem (Nablus), Tulkarem, Qalqilya, Ramallah, Gerico e la parte di Hebron popolata da arabi.

L’ hamoula, che alcuni chiamano clan e altri tribù, è un’entità stabile, l’unica solida e affidabile nella realtà sociologica del Medio Oriente, l’unica in grado di costituire un organo politico legittimo e stabile per molti anni. Stati in stile occidentale, fondati sulle sabbie mobili di sogni che vanno alla deriva con il soffio del vento, portano soltanto distruzione delle loro popolazioni.
Basta guardare Siria, Libia, Iraq e Yemen.
Anche le coalizioni del Medio Oriente sono costruite su dune in continuo movimento, e ancora una volta metto in guardia coloro che hanno potere decisionale dentro e fuori Israele, di modo che evitino “una storia d’amore” con l’attuale congiunzione astrale, non pongano le basi di qualsiasi politica a lungo termine su “coalizioni” in Medio Oriente e soprattutto non paghino in valuta forte - come la terra - un pezzo di carta, solo perché su di esso è scritta la parola “pace”.

Un esempio: Israele ha un trattato di pace con la Giordania dal 1994. Ciò non impedisce che questo Stato artificiale, che non esisteva prima del 1921, sostenga la risoluzione dell’Unesco che nega il collegamento, antico di 3.000 anni, tra il popolo ebraico e Gerusalemme. E’ questo che si chiama pace? Israele ha richiamato l’ambasciatore giordano e si è lamentato del comportamento del suo Paese in sede UNESCO? E’ questo il tipo di “coalizione” a cui Israele può appartenere?

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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