(Traduzione di Angelo Pezzana)
Copti egiziani
Sin dalla conquista islamica dell’Egitto 1375 anni fa, non sono mai cessate le tensioni fra la maggioranza musulmana e la minoranza copta, scontri senza fine da produrre leggi che hanno reso praticamente impossibile la costruzione di nuove chiese. Durante il lungo regno di Mubarak vi furono dei tentativi per modificare le leggi approvate dal sultano ottomano, falliti a causa della rigida opposizione dell’establishment islamico.
La nuova costituzione, approvata con un referendum nel 2014, aveva fatto rinascere le speranze della comunità copta. In base all’articolo 235, il parlamento, eletto l’anno successivo, avrebbe dovuto approvare una nuova legge appena nominato. Dopo infiniti dibattiti e scontri, all’interno del governo e con i leader religiosi, il 30 agosto è passata una legge che facilita la concessione dei permessi per costruzione di nuove chiese. Nessuno immaginava che la nuova legge avrebbe sancito la piena uguaglianza con quella che riguarda le moschee, l’Egitto è un paese musulmano come recita l’articolo 2 della costituzione e la Sharia è la fonte di tutte le leggi. Questa legge potrà fare ben poco per convincere la comunità copta – circa il 10% della popolazione – di godere di eguali diritti. Sanno bene che tradizionali manifestazioni discriminanti e persecutorie continueranno, malgrado la buona volontà dimostrata dal Presidente Sisi con i suoi tentativi di diminuire i toni della retorica islamica per rafforzare il senso di coesione del paese.
Attacchi contro le chiese avvengono ogni giorno nell’Alto Egitto a causa della fanatica propaganda dei religiosi musulmani che incitano la folla con false accuse di “insulto all’islam” o relazioni sacrileghe tra uomini cristiani e donne musulmane. Ciò malgrado, la nuova legge può essere vista come un primo passo verso una maggiore comprensione e riconciliazione. La legge votata la scorsa settimana specifica in modo preciso come la chiesa deve apparire all’esterno e quali funzioni devono esserci nella conduzione interna. Viene confermata quindi la legittimità dei fedeli alla sua conduzione. L’Articolo 2 è particolarmente preoccupante. Stabilisce come l’area su cui deve essere costruita la chiesa deve essere calcolata in base al numero dei fedeli cristiani della zona, aggiungendo a malincuore che andranno tenuti in considerazione successive crescite demografiche.In altre parole, è l’amministrazione del governo, e non gli stessi cristiani, a decidere quali sono le esigenze della comunità e quali devono essere le dimensioni della chiesa.
Molte autorità governative sono fortemente schierate contro la costruzione di chiese in un paese musulmano. La richiesta per costruire una chiesa deve essere proposta da un legale rappresentante della comunità al locale governatore del distretto, il quale deve rispondere entro quattro mesi, durante i quali dovrà valutare gli “elementi rilevanti”. È un passo avanti rispetto a prima, quando la richiesta doveva essere presentata al presidente, un atto molto più a rischio. In ogni caso, il fatto che il governatore debba valutare “elementi rilevanti” – si presume sui servizi inerenti alla sicurezza, il parere dell’ufficio del presidente e forse anche delle istituzioni religiose locali – rende evidente che la decisioni non sarà solo amministrativa, ma rimarrà politica. La legge non prevede appelli, anche se sarà possible rivolgersi a un tribunale. C’è un altro articolo importante, che rende possibile il riconoscimento delle chiese costruite senza autorizzazione, a patto che l’edificio sia stato costruito nel rispetto delle norme sulla sicurezza.
Abdel Fattah Al Sisi
Nel 2011 le chiese erano 2.869, per la maggior parte costruite senza autorizzazione, anche perché era quasi impossibile ottenerla. Alcune erano state sistemate nei seminterrati delle case in quartieri sovrapopolati, e quindi illegali. In quell’anno le moschee registrate erano 108.000, che se il numero reale è superiore del 50% o più. Le tre chiese cristiane – copti, anglicani, cattolici – anche se riluttanti hanno accettato la legge malgrado le restrizioni che contiene, nella speranza che vengano cancellate in un futuro non lontano. Il dibattito in parlamento è stato molto vivace. Gli 8 deputati copti volevano abolire l’Articolo 2, che però è passato con la maggioranza dei due terzi; i 9 membri del Partito salafita Nur, hanno votato contro, perché l’Egitto è un paese musulmano, hanno dichiarato, la Sharia proibisce la costruzione di edifici religiosi di altre religioni sul suolo islamico. Il milione di copti che vivono all’estero, soprattutto in Usa, hanno protestato – e la protesta continua- perché ai cristiani vengono negati i diritti più elementari.
Sebbene imperfetta, la nuova legge va vista come un significativo cambiamento. Elimina le condizioni imposte dal regime ottomano che erano ancora in vigore. L’ultima versione della legge era del 1856, quando, su pressione dei poteri forti di quel tempo – Francia, Inghilterra e Germania – vennero introdotte delle riforme nell’Impero Ottomano. Per esempio, era stata cancellata la famigerata tassa su ebrei e cristiani, insieme ad altre non meno umilianti. Per la prima volta alle minoranze etniche e religiose veniva permesso di costruire edifici dedicati alla preghiera, anche se soggetti a certe condizioni; la domanda andava inoltrata allo stesso Sultano.
Nel 1934, con l’indipendenza dell’Egitto, la legge subì degli emendamenti. Prima di essere presentata al Re doveva sottostare a dieci condizioni: essere a una certa distanza dalla più vicina moschea; i musulmani del quartiere dovevano essere consenzienti ecc. Il Presidente Mubarak emise un decreto che rendeva legale il restauro (non la costruzione) delle chiese da parte del governatore. Fra il 2006 e il 2011 ci furono diversi tentativi di abolire alcune clausole contenute nella legge ottomana, ma senza successo, a causa della forte opposizione della leadership islamica, specialmente i salafiti che emisero delle Fatwa contro la costruzione di chiese sulla terra islamica. Rimane da verificare come la nuova legge vera applicata. Dando per scontata la corruzione della amministrazione egiziana e la sempre forte opposizione degli ambienti islamici, non sarà un cosa facile.
Sondaggi negli ultimi vent’anno dimostrano che l’80% della popolazione pensa che la Sharia debba essere la base della costituzione egiziana. Sarà una battaglia in salita per i copti chiedere maggiore eguaglianza nel paese in cui vivono. Il Presidente deve ancora firmare la nuova legge prima che diventi effettiva. Un ultimo, pesante, tentativo è arrivato a grande velocità da una associazione auto-definitasi “ Egiziani contro la discriminazione religiosa”. Stanno raccogliendo firme, per chiedere al presidente di non rendere effettiva una legge “ contro la libertà religiosa dei cristiani in Egitto”. Presumibilmente rappresenta partiti e politici, anche se non sono stati citati i nomi. È difficile credere che godrà un largo sostegno popolare. Ma il fatto che sia che ne sia stata data notizia dimostra che qualcosa che interessa la società civile sta sorgendo in Egitto.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Svezia dal 20012 al 2004. Dal 1989 al 1992 è stato ambasciatore d’Israele in Romania e dal 1996 al 2001 in Egitto. È stato anche al Ministero degli Esteri israeliano vice Direttore Generale per gli Affari Africani e Direttore della Divisione Est Europea e Capo del Dipartimento Nord Africano e Egiziano. Collabora a Informazione Corretta.