A destra: gli atleti israeliani sfilano alle Olimpiadi di Rio de Janeiro
Cari amici,
vi piacciono le Olimpiadi? Io, coi miei modestissimi mezzi, preferisco fare sport piuttosto che guardarlo o leggerne; ma non posso sottrarmi al grande flusso informativo che avvolge i Giochi. E dunque come voi ho letto della pessima scena che ha messo su la delegazione libanese, negando agli atleti israeliani l’accesso all’autobus su cui stavano loro. Vi ricorda qualcosa questa idea del rifiutare a gente appartenente a un’etnia che non ti piace l’uso degli autobus? Be’ a me sì, sono vecchio abbastanza e mi ricordo che la battaglia contro il razzismo negli Stati Uniti iniziò proprio da un problema di bus a Montgomery (https://en.wikipedia.org/wiki/Montgomery_bus_boycott), in Alabama, quando una donna coraggiosa, Rosa Parks, fu arrestata per aver violato le norme di apartheid previste dallo stato. Partì allora un boicottaggio dei bus e una serie di altre azioni, in cui ebbe grande parte un leader Martin Luther King, che era fra l’altro un grande amico e sostenitore di Israele (sentite qui, per esempio: https://www.youtube.com/watch?v=hgB_Pt0DxKY).
Nessuno però ne ha parlato in questi termini, come un atto di puro e semplice razzismo. Al massimo, chi ha raccontato la vicenda ha parlato di “spirito poco olimpico” o altre colpe veniali del genere. Né hanno faffo cenno alle dichiarazioni della delegazione dopo la mite “ammonizione” che le è stata inflitta dal comitato olimpico: “gli atleti libanesi sono impegnati nella posizione nazionale di non stare mai nello stesso posto degli israeliani” perché “il Libano è e resterà parte della Resistenza contro Israele (http://www.jpost.com/Israel-News/Sports/Lebanese-Olympic-team-scolded-by-IOC-for-refusing-to-let-Israelis-on-bus-463480). Eccetera eccetera.
Quisquilie? Eccezioni? Non proprio. Tanto per dirne una, ieri un judoka saudita si è ritirato dai giochi (pensate, dopo tante preparazioni, tanti sogni, tanto impegno) pur di non dover incontrare il concorrente israeliano con cui il sorteggio gli imponeva di combattere (http://www.jpost.com/Breaking-News/Saudi-judo-competitor-drops-out-ahead-of-face-off-with-Israel-463481). Come l’autobus, così il tatami (o altre volte in altre gare la piscina, il percorso di vela, lo stadio). Il principio è semplice: non solo lo Stato di Israele deve sparire, ma i singoli atleti israeliani sono paria, non devono esistere, con loro non ci si confronta. E pensare che anche Hitler dovette assistere ottant’anni fa al trionfo di Jessie Owens contro i suoi atleti. Ma che volete, l’Islam non è come il nazismo, è solo un po’ peggio.
E c’è dell’altro. All’apertura dei giochi, per la prima volta dopo 44 anni, ma in maniera piuttosto clandestina, il Comitato Olimpico ha accettato di ricordare gli atleti israeliani massacrati da un attacco terroristico alle Olimpiadi di Monaco. Si incomincia a non far salire uno sull’autobus, a rifiutarsi di riconoscere la sua esistenza e parità fisica, l’esistenza come corpo vivo nei campi di gara. E poi un bel giorno lo si tortura e lo si uccide. In attesa di poter istituire dei bei lager dove fare queste cose in maniera industriale, come proprio Hitler, con la preziosa consulenza di Amin Haj Al Husseini, ha insegnato. Da Olimpia ad Auschwitz, se nessuno si oppone, il passo è breve.
Ugo Volli